ARTE E CULTURA: “Enzo Fiore”

“Enzo Fiore, l’arte che respira”

 

Pulsante, viva, fatta di terra, rami, foglie, vento, luce. Perché l’arte deve parlare, respirare, in quanto parte di noi, dei nostri sogni e – soprattutto – della nostra natura. La Natura è la nostra casa. Casa e “galleria”: dobbiamo osservarla, comprenderla, fonderci con essa. Ci prova (e ci riesce benissimo) Enzo Fiore. Come, dove, quando? Chiediamolo a lui.

Le piante affiorano dalla terra, è sempre così: il vento porta un seme, il seme cade e viene ricoperto da foglie, terriccio, fango. Dal seme un esile filo d’erba che diventa tronco; il tronco si ramifica e genera altre foglie. Poi le foglie cadono, si cuociono al sole, si polverizzano per divenire nutrimento di insetti.

Si parte dalla terra e si torna alla terra. Succede alle piante, agli insetti e agli animali, uomo compreso. Il nostro seme fa un’altra strada, d’accordo, ma non è molto diversa.

Uomini o insetti, fiori o rami siamo tutti “dentro”. Dentro un gioco più grande di noi. Un gioco a volte divertente a volte faticoso, prevedibile ma inaspettato. Vinciamo tutti e perdiamo tutti. Si può barare? No, impossibile.

La Natura, quella con la N maiuscola, è al centro dell’opera di Enzo Fiore, classe 1968. Ma la natura, l’avrete capito, non è il paesaggio, il tramonto, la cartolina. La Natura siamo anche noi; noi e le nostre membra. Muscoli e ossa sono terra, sono foglie, sono rami: stesse sostanze, stesso respiro, stessa vitalità. Così nascono i ritratti di Fiore: che sia Marilyn Monroe o JFK, John Lennon o chiunque altro, sono ritratti vitali, perché composti di rami, terra, foglie e addirittura insetti. Siamo vivi o siamo morti? Siamo organici, siamo dentro il Grande Gioco: si nasce, si muore e si rinasce. I “quadri”, così facendo, assumono l’aspetto di creature che respirano, si nutrono, combattono, ragionano…

Quando hai deciso che questa sarebbe stata la tua strada? Da bambino o un po’ più avanti?

“Già da piccolo disegnavo molto bene. Ero poi molto attratto dalla natura, gli animali; passavo giornate intere allo zoo. Così ho cominciato a “dipingere” senza pennello, utilizzando foglie, rametti, terra. Noi siamo fatti di materia organica; ergo, per rappresentare la realtà, per “raccontarci” dobbiamo utilizzare la sostanza di cui siamo fatti”.

Dunque, foglie, bastoncini, terra, sassi… Ma quando hai scelto, quando hai intrapreso questo viaggio non hai avuto mai il timore che questa passione non si sarebbe mai trasformata in lavoro? Insomma: hai avuto paura di non farcela?

“Qualche dubbio l’avrò avuto, non dico di no. Ma non mi son fermato. Quando dissi a casa che volevo fare il Liceo Artistico nessuno protestò; fossi stato un altro “figlio”, diverso da me, apriti cielo…! Lessi poi un’intervista a Salvator Dalì, che ai tempi non conoscevo, e mi dissi ‘voglio diventare come lui’. Una sorta di musa per me, quel pizzico di follia che mi spinse ad andare avanti senza ripensamenti”.

 

I ritratti e le sculture di Fiore che raffigurano uomini o animali sono realizzati utilizzando rami e radici per simulare il sistema arterioso; i legnetti vanno distribuiti con precisione anatomica: “Se sbagli, se l’anatomia non è corretta viene meno il realismo” – puntualizza Enzo.

Essere artista, per molti, significa vivere in un mondo a parte. Anche l’artista, però, deve mangiare, abitare, pagare le tasse… È difficile accettare l’idea che l’arte, volenti o nolenti, è un lavoro e che un’opera è un prodotto commerciale come tanti?

“L’arte non si “sporca” con il mercato. Se vedi che la tua passione, le tue idee sono apprezzate da altri non c’è nulla di male. Anche Caravaggio vendeva i suoi quadri – a carissimo prezzo, peraltro – ma il pennello, sempre e comunque, lo teneva lui”.

E allora parliamo della tua prima volta: il giorno, l’anno nel quale sei andato… sul mercato.

“Avevo circa venticinque anni, mostrai i miei lavori ad alcuni galleristi milanesi. Conobbi anche uno dei più noti, Marconi, che si interessò a me. In seguito, sempre a Milano, iniziai a collaborare per lungo tempo con la galleria Fabbrica Eos. Poi incontrai Contini, con il quale è nata una collaborazione sincera e proficua”

 

Torniamo alla tua tecnica

“La terra, l’aria, le foglie sono vita, sono morte, sono lotta, sogno, paura, coraggio… Polvere sei e polvere tornerai, si dice. Rami, radici, petali e poi anche insetti per creare opere tridimensionali che contengano, però, anche altre dimensioni, tempo incluso. Un quadro, una scultura diventano vivi; vivi come noi”.

Fiore e Contini: nascita di un connubio

“Incontrai Contini all’ArteFiera di Bologna. Vide i miei lavori e di lì a poco nacque la nostra collaborazione, che va avanti da ormai dodici anni e che mi ha portato, tra l’altro, al Vittoriano con la mostra del 2012”.

Polvere sei e polvere tornerai, ne abbiamo parlato poco fa. Hai mai pensato al fatto che siamo di passaggio e che tutto quel che diciamo, facciamo, costruiamo è forse l’unica “traccia” che lasciamo agli altri, l’unico modo per far sì che anche domani, anche tra mille anni qualcuno si ricorderà di te, di me… Scolpire, dipingere per costruirsi un pizzico di immortalità. O per te basta concentrarsi sul presente?

“Inconsciamente si lavora anche per questo, per la paura di morire. L’arte, per me, è terapeutica: fuori dal mio studio mi sento un pesce fuor d’acqua. Lasciare un’impronta ai posteri? La lascerò, la lasciamo tutti, volenti o nolenti. La morte non deve farci paura, perché non ci appartiene: quando arriva, quando s’impossessa di noi non ce ne accorgiamo neppure”.

Un ragazzo di vent’anni, o anche meno, che voglia mettersi su questa strada. Che consigli gli dai?

“Niente paura, niente incertezze: l’arte esorcizza le paure ed i limiti di chiunque. Chi è balbuziente e gli piace cantare, quando canta non balbetta. Se la tua passione è vera, se l’hai interiorizzata gli altri se ne accorgeranno. Energia, consapevolezza, passione. Ripeto: niente paura”.

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