EVENTS&FRIENDS: Impara l’arte ma… non metterla da parte

Impara l’arte ma… non metterla da parte

L’arte non è – non è più – statica, fissa, ferma sulle pareti di musei e gallerie. L’arte parla, grida, avvolge, porta con sé lo spettatore facendolo diventare parte dell’opera. Si dice “interattiva”, ma forse non basta. Non voglio mettere da parte la sapienza di un quadro o la forza di una scultura, voglio però raccontarvi di un nuovo orizzonte, un oceano blu, quello dell’arte che è “vietato non toccare”. Lo faccio insieme ad un guru internazionale, il gentleman francese Didier Fusillier.

Di Roberto Fantauzzi

C’erano una volta i musei, le gallerie, le mostre. Ci sono ancora, certo. L’arte da guardare e da commentare passeggiando per le sale, i corridoi silenziosi e quasi “spenti”. Luci soffuse, voci sommesse. I custodi sorvegliano con discrezione, guai ad alzare i toni, guai a chi tocca.

Si cammina quasi chiedendo scusa per ogni passo. I quadri, le sculture sono lì, immobili e noi – in religioso silenzio – osserviamo e passiamo oltre. Infine si esce, si va via; l’arte resta lì, inchiodata alle pareti. L’emozione e la storia dell’artista rimangono chiusi dentro. Come dire messi da parte, addirittura imbalsamati.

Va bene così? No, o almeno non solo: ora l’arte può camminare, correre, gridare, far ridere e piangere. La realtà convenzionale del museo, della mostra – non da oggi – sta lasciando spazio ad una fruizione più coinvolgente. Lo spettatore s’immerge nell’opera, ne diventa parte. Che sia donna, uomo o bambino, sposta l’opera, ne cambia colori e forme, entra ed esce nel “quadro” cambiando di volta in volta le “storie”.

L’arte è ludica, sa parlare alle famiglie, sa farci ridere e, pur inducendoci a riflettere, sa farci sognare.

L’arte interattiva – forse – avrebbe entusiasmato anche Caravaggio, Raffaello, Bernini, Michelangelo. Anche loro avrebbero voluto che la gente ci si muovesse non solo con lo sguardo.

L’arte cammina e noi vi camminiamo dentro. Oggi si può; oggi si fa. Da questo ad esempio è scaturito il successo del nostro Ballon Museum prima a Roma, ora a Parigi, poi a Basilea, Milano, Singapore, New York e…. chissà dove altro. Artisti universalmente riconosciuti, installazioni da toccare, vivere, annusare e, con garbo “maltrattare”. Via la riverenza: alle opere di Balloon non si può dare del “lei”.

Avete presente “La strategia oceano blu”, il libro scritto qualche anno fa da Chan Kim e Mauborgne? Lì è spiegata la teoria secondo la quale i mercati in cui si sviluppano progetti sono inseriti metaforicamente in due oceani paralleli, uno rosso e uno blu. L’oceano rosso è quello in cui vige una lotta accanita per accaparrarsi la clientela; rosso, perché si lotta e ci si fa male nuotando tra gli squali. L’oceano blu, invece, è quello ricco di spazi inesplorati, placidi, dove non ci sono ancora competitor e dove è possibile creare nuova domanda, sviluppare nuove idee. Niente competizione, basta differenziarsi. Un esempio su tutti è il Cirque du Soleil: quando il circo sembrava ormai aver dato e detto tutto, è arrivato “lui”, cambiando le carte in tavola. Niente concorrenza, perché non si può concorrere con chi inventa qualcosa di inaspettato. Il circo tradizionale sembrava prossimo al tramonto; poi è arrivato il Cirque du Soleil. È arrivata l’idea che non c’era nelle acque dell’oceano blu.

Vale anche per l’arte, l’arte che non c’era. Una forma, questa, nata e “cresciuta” grazie a chi ne ha riconosciuto il potenziale trasformandola in progetti di fama mondiale. Gente che ci ha creduto e ci crede come ho fatto io con l’aiuto di qualche campione e di uno staff di ragazzi appassionati, innamorati della scoperta di orizzonti inesplorati. Questa vivacità, questa voglia, questa fame di un futuro diverso dal passato è tipica dei pionieri dell’arte, uomini e donne sparsi nel mondo che hanno il compito di risvegliare gli entusiasmi della gente. Volete un nome? Eccovi serviti: Didier Fusillier, regista ma soprattutto promotore e creatore di installazioni, eventi, idee, spazi da vivere e da… attraversare, presidente, tra l’altro, dell’Ente del Parco e della Grande Halle de la Villette a Parigi e di Lille 3000 sempre in Francia.

Chi meglio di lui ci può “spiegare” l’arte che non può, non deve essere lasciata… da parte? Per me è un onore incontrarlo e intervistarlo:

 

Didier, quando e come inizia il suo approccio con l’arte?

Abbastanza tardi. Grazie a uno shock di tipo estetico, avuto a teatro. Tutto si fonda sulla curiosità e l’incontro delle persone chiave che sappiano guidarvi attraverso l’immenso mondo delle esperienze estetiche, sia che si tratti di teatro, di musei ecc.

Oggi è presidente di Lille3000. Che cosa rappresenta nel panorama artistico questa manifestazione?

Lille3000 ha da poco inaugurato la sua sesta grande edizione “Utopia”, sul tema della natura e del nostro rapporto col vivente. Edizione avviata, come da tradizione, con una grande parata per le vie di Lille e i fuochi d’artificio.

È importante celebrare la cultura in tutte le sue forme, sia in occasioni di grandi feste che di esposizioni di alto livello. Lille3000 ci permette tutto ciò, grazie alle forti radici nel territorio e facendo affidamento alle forze viventi e alla creatività degli attori della cultura, delle associazioni, degli abitanti…

Il parco della Villette rappresenta uno dei più grandi poli di riqualificazione urbana al mondo; pensa debba essere un modello da esportare?

Il Parco della Villette è un luogo unico nel suo genere, per varie ragioni: tralasciando la sua storia, è significativa la varietà di offerta che propone a livello culturale e sportivo, sull’importante pensiero architettonico su cui ha posto le sue fondamenta. È abbastanza raro trovare un parco così aperto verso la città. Bernard Tshumi, colui che ha concepito l’idea del Parco, ha fatto un notevole lavoro di riqualificazione urbana, che fosse il più vicino possibile ai suoi abitanti. All’epoca era considerato un progetto totalmente innovativo, e ancora oggi lo si studia.

Questo modello può essere effettivamente un valido esempio da riprodurre nel resto del mondo: lo si può pensare in questo modo sia come a un parco urbano, aperto sul mondo che lo circonda, sia come un parco culturale, che permette di creare un legame tra pubblici diversificati e molteplici discipline artistiche.

L’arte che diventa interattiva pensa possa rappresentare un modo per avvicinarla ai giovani?

In effetti l’interattività permette un nuovo modo di vivere l’arte, soprattutto tra i più giovani. Abbatte tutte le barriere e le titubanze di quel pubblico che non ha propensione verso le arti plastiche, gli spettacoli dal vivo e il mondo culturale in generale.

 Pop Air, proprio come teamLab, risponde a un nuovo approccio creativo, facilmente replicabile. È il preambolo a un nuovo mondo che si apre.

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