RITRATTO DI DONNA: “Ilaria Venturini Fendi. “

La vera tendenza? l’ecosostenibilità

Di Francesca Romana D’Andrea

Andiamo a trovare Ilaria ai Casali del Pino, la sua azienda agricola biologica alle porte di Roma. Siamo lungo la Cassia; siamo – per capirci – a quindici chilometri, forse meno, da corso Francia. Eppure Roma è lontana mille miglia. Roma e non solo “lei”: qualunque altra città, qualunque altro segnale più o meno rumoroso del caos metropolitano, della frenesia che ci avvolge e ci soffoca di mattina, di sera, sempre, sembra scomparso.

Centosettantaquattro ettari di natura, colore, sapore. I pini, il fiume, i pascoli ci portano lontani, lontanissimi da tutto; lontani e vicini: vicini alla natura, quella primordiale, quella che ci rivela – una volta di più – che l’uomo è nato in un mondo così. Un mondo con il quale, anche nel XXI secolo, dobbiamo confrontarci. Un mondo, soprattutto, che non deve scomparire. Vale per tutti; vale per chi fa il professore, chi fa l’ingegnere, il maestro, l’inventore, il medico, il ricercatore, il giornalista… Vale, ovviamente, anche per chi si occupa di moda; come Ilaria Venturini Fendi.

La moda nella tua vita c’è sempre stata. Ad un tratto, però, hai sentito il bisogno di stravolgerne il concetto, rendendola ecosostenibile. Da dove nasce l’idea?

Amavo moltissimo ciò che facevo per Fendi. Del resto sono cresciuta in una famiglia in cui ho mangiato pane e moda.  Ho fatto tanta gavetta nell’azienda di famiglia, da noi funziona così. Dal 2000 però la finanza è entrata nel mondo della moda e questo ha portato anche a cambiamenti nei calendari, sempre più fitti di date. Nella moda, nel momento in cui una collezione viene presentata, diventa subito vecchia. Io però non riuscivo ad accettare che l’impegno e il lavoro dedicati a quella collezione svanissero nel breve intervallo di una stagione; in quel periodo, per questo, ho cominciato a capire che volevo dare valore al mio tempo e ai miei sacrifici. Volevo cambiare vita.

C’è anche dell’altro: ho sempre amato la natura, da piccola sognavo di diventare una biologa; mi son messa a cercare un posto vicino Roma nel quale poter lasciare il mio cavallo e trascorrere i week-end. Così ho scoperto i Casali del Pino; e me ne sono innamorata.

Il lavoro di restauro è stato lungo e faticoso, anche perché non nasco come imprenditrice agricola. Ho frequentato un corso tenuto dalla Coldiretti sulle coltivazioni biologiche e, senza indugio, mi son buttata nell’agricoltura bio. Tuttavia non ho messo da parte la moda, la creatività, insomma tutto quello che so e che ho “respirato” per anni. Una volta ideavo, disegnavo un accessorio e poi mi procuravo i materiali adatti; ora faccio il contrario: parto dai materiali di scarto e la mia mente inizia a fantasticare sull’accessorio.

Comincia così una nuova fase della tua vita…

La natura, la campagna non mi hanno tolto la voglia di creare che, evidentemente, è insita nel mio DNA. Cosicché proprio qui ho inventato le prime borse portaformaggio…

Collaboro con dei bravissimi artigiani utilizzando solo ed esclusivamente materiali riciclati. Sono stata tra le prime ad aderire al concetto di “moda sostenibile”.

Un’amica (presidente di una Ong che lotta contro le infibulazioni genitali) mi ha regalato una conference bag ed io, spontaneamente, l’ho ricostumizzata, applicandoci sopra delle tasche ricavate da materiali di scarto: vecchi vestiti, pezzi di ricamo. Lei, stupita e ammirata, mi ha consegnato altre 90 borse che aveva accatastate in un magazzino e, insieme, abbiamo dato vita a questo nuovo progetto: in un mese abbiamo venduto tutte le conference bag ricostumizzate, donando alla ong una quota del ricavato. Una collaborazione positiva da entrambe le parti; collaborazione dalla quale è nata l’idea per il mio marchio di creatività sostenibile “Carmina Campus”, lanciato nel 2006. Il mio progetto è un piccolo esempio di economia circolare nella moda e, ancora oggi, la sua mission è quella di creare accessori ed oggetti di design con materiali di riuso, abbinandoli spesso a scopi sociali e collaborando con svariate aziende per riutilizzare i loro scarti di produzione. 

Questo ti porterà nell’Africa centrale, in Camerun e in Kenya…

Sono andata in Camerun dopo aver conosciuto degli apicultori camerunensi per un progetto sul miele tenuto in azienda. Le donne del villaggio, al mio arrivo, mi hanno donato un cappello lavorato all’uncinetto con dei fili di scarto. È stato in quel momento che ho pensato di creare un laboratorio sul posto per valorizzare il talento di queste donne e accrescere il loro empowerment in un contesto svantaggiato. Non un progetto di beneficienza, ma un progetto di lavoro rappresentato dal motto “Non charity, just work” che è stato trasferito in Kenya quando ho iniziato una pluriennale collaborazione con un’agenzia dell’Onu per creare micro-imprenditori indipendenti, soprattutto donne che, grazie a questa opportunità, potevano acquisire rispetto, dignità e migliori condizioni di vita per sé e i propri figli.

Nel frattempo, in Italia…

Ho continuato con il mio piccolo mondo, quello che apprezzo di più: ho il mio laboratorio creativo dentro i Casali del Pino, cosicché ogni giorno, attraverso una porta, posso passare dallo studio nel quale creo i miei accessori ricavati da materiali di scarto – disponibili e acquistabili dal sito carminacampus.com –, agli uffici dell’azienda agricola. Mi considero molto fortunata ad avere questi due lavori, dove uno ispira e completa l’altro.

Chi è Ilaria oggi? 

Sono vent’anni che ho sposato l’ecosostenibilità, sono innamorata della natura, del nostro pianeta. Ma non basta la contemplazione, bisogna agire nel pratico.

Per questo dallo scorso giugno sto portando avanti, assieme a tantissimi altri, una Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE) promossa da Marco Cappato, attivista politico, per indurre la Commissione Europea a varare una normativa per scoraggiare il consumo di combustibili fossili, incoraggiare il risparmio energetico e l’uso di fonti rinnovabili per combattere il riscaldamento globale (per approfondire: stopglobalwarming.eu). Ci servono un milione di firme in almeno sette paesi europei. Sono tante? Beh, se pensi che basterebbero i followers di un solo influencer di Instagram… Dunque, diamoci da fare.

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