ARTE E CULTURA: “Carla Tolomeo”

Carla Tolomeo: quando l’arte si mette comoda

 

Comoda ma non troppo: l’artista deve saper guardarsi dentro, studiare e studiarsi, combattere contro il pregiudizio e i detrattori. Il pittore, lo scultore non timbra mai il cartellino, lavora anche quando gli altri sono in ferie. Succede sempre così; è successo – succede – anche a Carla Tolomeo, donna e bambina, pittrice e scultrice. Le sue opere, da anni, sono scese dalle pareti e si sono… sedute.

La sedia, le sedie. Si usano per mettersi in tavola o per godersi un buon film. Sedie comode e scomode, a “dondolo” o ben ferme nella memoria. Sedie rumorose o “timide”, pesanti o “nude”…

La sedia si fa carico del nostro peso restando dietro di noi; cosicché, talvolta, non ricordiamo di che colore è, se il cuscino è intonato o “stonato”…

Ci sediamo anche nelle gallerie d’arte per goderci un Caravaggio, un Tiepolo o un Dalì inchiodato sulla parete di fronte. E se invece la sedia, proprio “lei” diventasse l’opera d’arte? Con Carla Tolomeo succede anche questo; classe 1945, donna e pittrice, bambina e scultrice. Perché bambina? Perché si mette in gioco da sempre: artista per caso ma non troppo, figlia ribelle quanto basta. Un papà ufficiale di cavalleria che la voleva in ben altre faccende affaccendata e che probabilmente (chi scrive, precisiamo, non l’ha mai conosciuto) così ammoniva la figlia: “Stai lontana da artisti e galleristi, tieniti a debita distanza da questi bohémien…!”. Ergo, niente istituto d’arte, niente Accademia; meglio il liceo classico e poi, puntualmente, l’università. “Scienze Politiche, considerata allora la facoltà degli asini” –ci dice lei ridacchiando.

Ma Carla sognava altro, immaginava (e imboccava) altre strade.

Carla, come nasce la “scintilla”, la passione per l’arte?

“Passione innata, ho imparato prima a disegnar poi a parlare. Fin da piccolissima mi cimentavo a riprodurre ciò che vedevo o che “sentivo”. In famiglia però non ero molto incoraggiata. ‘Non è un buon ambiente, quello’, mi ripeteva papà. Già: pittori e scultori, uomini e donne quanto meno anticonformisti, per non dire perdigiorno…

Urgeva una via d’uscita, la trovai: dissi a mio padre che mi avevano selezionata per un posto all’Ambasciata di Siria; giusto in quei giorni si parlava di ragazze occidentali scomparse, rapite da quelle parti. Orrore! Da quel momento mi han lasciata libera di creare, di inventare il mio futuro”.

I suoi primi lavori?

Esordii con quadri ispirati alla pittura giapponese. Devo moltissimo alla cultura e all’arte nipponiche; anche le mie sculture derivano da lì. Passeranno gli anni, passeranno quadri e gallerie. Non avevo “compagni di percorso” ero – e sono – un’artista solitaria. Da Roma, con mio marito, mi trasferii a Milano; ricominciare daccapo. Tornare a “spingere” per farmi conoscere e riconoscere; non è stato facile, soprattutto perché la mia era una pittura “colta”, letteraria. I miei recensori non erano i classici critici; erano, invece, scrittori, letterati, Tra questi Leonardo Sciascia, che scrisse una splendida introduzione per i miei lavori sugli Arcani Maggiori di Casanova”.

Mostre in Italia e a Vienna, poi Londra e poi…

“A Vienna mi chiesero di restare ma avevo famiglia, non potevo fermarmi. Poi, nel 1997, una mostra a Londra dedicata a Leonardo. Visto lo strepitoso successo, il gallerista, che era anche direttore artistico di Saatchi & Saatchi, mi propose un succulento contratto con un’unica condizione: restare nella City e non muovermi più da lì. “Ti pago, ma ti devi fermare”. Non potevo accettare, tornai a Milano e ricaddi giù dalle stelle…  Un senso enorme di sconfitta, non riuscivo nemmeno a rientrare nel mio studio”.

Arriveranno poi le sedie. Le sedie di Carla.

“Trascorrevo il tempo con mia madre – papà era mancato –, lontana dallo studio. Un po’ per gioco “costruii” la prima sedia. Poi un’altra e un’altra ancora, qualcuno le vide e iniziarono le… ordinazioni: ‘Me ne fai una anche a me? Mi regali quella…?’ Da cosa nasce cosa, uscì un “pezzo” gustoso su una rivista israeliana, poi articoli su Elle, poi… L’informazione, la comunicazione sono state per me fondamentali. Grazie ad esse ho varcato l’oceano e mi son fatta apprezzare un po’ ovunque”.

La storia di Carla, e delle sue sedie, continua a Parigi: 18 “pezzi” in mostra dietro le vetrine di Hermés per un anno intero.

Torniamo in Italia; e all’incontro con Stefano Contini.

“Per esporre sedie ci vogliono coraggio, fantasia ed energia, doti tipiche di un grande gallerista; uno come Contini, forse il più grande in assoluto. Lui mi ha organizzato una mostra a Venezia lunga due mesi. Lui mi ha tenuta per mano, mi ha valorizzata, mi ha spinta fin dove nemmeno credevo di potermi allungare”.

Ci parli ora di un momento “no”, uno di quelli che ti fan dire: “Mollo tutto, mi arrendo”.

“Domanda dolorosa; la risposta? Ha un nome e cognome: Stefano Contini. Arrivò un giorno nel quale entrammo in contrasto e – come dire – ci “lasciammo”. Mi sentii crollare il mondo addosso. Presi a lavorare con altri galleristi più o meno importanti ma ben determinata a tornare da lui, con lui. Ci son voluti dodici anni e tanta umiltà e, alla fine, così è stato”.

Qualcosa da dire a chi ha vent’anni oggi? Come muoversi nei sogni, nei progetti…

“I giovani, in quanto tali, non ascoltano i messaggi di chi è più “grande”. Inutile spedirli… Si ricordino, semplicemente, che la vita è una sola; bellissima, imprevedibile, ma sempre e solo una”.

Come dire: vietato sedersi. E se ve lo dice lei, che di sedie se ne intende…!

Ringraziamo Carla e ringraziamo, nel contempo, Stefano Contini: è grazie soprattutto a lui se su queste nostre pagine, negli anni, abbiamo avuto modo di raccontare l’emozione, i colori, i sapori, dell’arte in Italia e nel mondo.

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