ARTE E CULTURA: Fabrizio Russo

Fabrizio Russo, ultimo gallerista romantico

 

La Galleria Russo è un’istituzione e punto di riferimento per artisti italiani e collezionisti internazionali dal 1898 e Fabrizio Russo ne è oggi il custode. Grazie alla sua vena romantica e ad una forte attenzione al futuro, porta avanti, egregiamente, la preziosissima eredità artistica di una galleria che ha fatto la storia di Roma.

In che modo è nata la tua personale passione per l’arte?

Sono cresciuto a pane e quadri, una passione nata in modo totalmente naturale. A 19 anni andavo a casa Balla, a via Oslavia, con Elica Balla, la figlia di Giacomo, che mi mostrava i quadri della casa. Che le devo dire… sono cresciuto con la mia famiglia con quadri di Balla nel salone piuttosto che quadri metafisici di Giorgio De Chirico. È stato tutto spontaneo e naturale.

Da gallerista, come spiegheresti il tuo ruolo nel mercato dell’arte?

All’interno del mercato dell’arte, la figura del gallerista oggi si caratterizza per una dicotomia molto pronunciata tra il nuovo professionista ed il vecchio. Con questo intendo che il vecchio ha una vena romantica che lo contraddistingue nell’acquisto e vendita dell’opera: va all’inseguimento del cliente che ha l’opera in collezione e questo inseguimento può durare anche anni. Oggi invece il nuovo operatore di mercato è più attento ai numeri e probabilmente, per questo, anche più vincente ma sta perdendo del tutto quella vena romantica da vero amatore.

Sicuramente tra le città artisticamente più attive in Italia possiamo menzionare Milano, Torino, Bologna… Come mai a Roma manca ancora una “spinta” artistica?

Parlando di spinta possiamo sicuramente menzionare la prima fiera d’arte di Roma: Arte in Nuvola (17 – 20 novembre 2021). Noi abbiamo partecipato, anche perché non potevamo non farlo e le devo dire che vedendo i padiglioni la prima volta, sono rimasto folgorato per come la logistica e l’organizzazione siano state impeccabili. Le posso dire che è in assoluto la più bella fiera d’Italia e che è destinata a diventare la fiera di riferimento in pochissimi anni, se non commettono errori. È pazzesca. Incredibile. All’ultimo piano si entrava proprio nella pancia della Nuvola. In questa circostanza c’è da essere fieri di essere romani.

La pandemia ha sicuramente scosso l’industria dell’arte e le ripercussioni saranno ancora molte e diverse. Con la ripresa delle prime fiere, il mondo che piano piano riparte… dovendo tirare le somme dopo oltre un anno, cos’è cambiato rispetto a prima? Quali sono state le conseguenze positive (se ce ne sono) e quali quelle negative. 

Per quello che ci riguarda non l’abbiamo quasi sentita anzi abbiamo raddoppiato i fatturati negli ultimi due anni! Quello che veramente mi preoccupa è lo spazio di vendita che le gallerie in futuro riusciranno a garantirsi tra fiere e aste. Entrambe, infatti, sono alimentate dalle gallerie ma le gallerie che spazio proprio avranno? Le stesse fiere, ormai esasperanti e troppe, stanno erodendo il concetto sociale di galleria d’arte. Per chi sta in grandi città o in zone centrali, come noi, che senso hanno tutte queste fiere? Brescia, Bergamo, Bologna, Milano, Torino… Insomma sono davvero troppe. La radice socio culturale della galleria, tornando al romanticismo dei vecchi galleristi, si esaurisce e non ha più senso. Andando avanti in questo modo risulterebbe inutile spendere per l’affitto della galleria in centro. La prendo in periferia e per il resto, durante l’anno, partecipo a tutte le fiere possibili. Ma se la galleria Russo chiudesse come spazio al pubblico e si mettesse ad un primo piano, vivendo così di partecipazioni in fiera, non toglierebbe qualcosa di culturale anche alla città? Tutte queste fiere sono meravigliose ma sarebbe davvero necessaria una scrematura.

Come noi anche lei ha un team pieno di giovani, una scelta che potremmo definire “inusuale” per la realtà italiana. Crede nei giovani? Perché?

“Inusuale” per errore dei miei colleghi che sono “accentratori” Io ho creato, in 20 anni, un gruppo coeso di professionisti straordinari che vengono da diverse discipline quali filosofia, arte, economia… un gruppo insomma eterogeneo. Comunicazione, mondo digitale, editoria, archivi e contemporaneamente una grande sensibilità verso il pubblico e contatto con i clienti. Tutto questo riporta come risultato infatti che l’85% circa del venduto è grazie a loro. Sensibilizzano i clienti, fanno loro i sopralluoghi, tengono i contatti e anche durante la pandemia hanno continuato a lavorare da remoto.

L’aspetto più emozionante dell’essere un gallerista rinomato?

La chiusura del cerchio di un progetto. Non è tanto la vendita singola di un’opera importante, che comunque ha il suo peso e soddisfazione, a regalarmi un’emozione quanto piuttosto una mostra importante, la partecipazione ad una fiera rinomata: occasioni che possono quindi rappresentare la chiusura di un lungo progetto e lavoro. Per esempio tra poco pubblicheremo, dopo 6 anni di ricerca di archivio, un testo di circa 400 pagine che racconta i 125 anni della storia della galleria, dagli inizi ai nostri giorni.

Un consiglio per un giovane artista che oggi cerca di farsi spazio nel mondo dell’arte? 

Per un artista di oggi ho solo un consiglio: studiare, studiare e studiare. Divorare mostre, girare gallerie. Tutto questo “contemporaneo”, mi dispiace doverlo dire, lo trovo di una noia desolante! Le installazioni luminose si facevano negli anni ‘60 con Merz e Dan Flavin; i video provocatori alla fine degli anni ‘60 con Fabio Mauri… quindi dove sta tutta questa novità? Bisogna guardarsi indietro e studiare! Anche le fotografie si facevano negli anni ’70. Per me oggi si parla più di fenomeni di marketing – che sono tutt’altra cosa –  che di arte.

Quali sono i propositi per questo nuovo anno?

Siamo come rabdomanti: anche quando troveremo il capolavoro continueremo a cercare e a fare progetti. È sempre più difficile mantenere viva quella fiammella d’amore verso questo mondo, senza fare solo commercio… ci riusciremo? Ai posteri l’ardua sentenza! Questa è da sempre la nostra stella polare. Perché lo facciamo? Potremmo comprare e mettere all’asta, come molti, ma decidiamo di non farlo. Certo, sarei stato più forte economicamente ma avrei perso il contatto con il collezionista, diventando l’agenzia di una casa d’aste. Per questo abbiamo continuato a coltivare, come diceva papà, i nostri clienti come un fiorellino in cima alla montagna. 

Share This

Copy Link to Clipboard

Copy