PERSONAGGI: “Enrico Alleva”

“Non ho insegnato l’abbaco alle formicole ma…”

 

Ma le formicole (le formiche) sono state una delle tante passioni del piccolo Enrico, oggi professor Alleva, etologo, accademico dei Lincei, fondatore e direttore del Centro di Riferimento per le Scienze Comportamentali e la Salute Mentale, vicepresidente del Consiglio superiore di Sanità e… Fermiamoci qui e lasciamo parlare lui; parlare dei giovani, dei loro sogni da non “disturbare”, di scuola, famiglia, vita.

 

Qualcuno ricorderà il dialogo tra mastro Geppetto e mastr’Antonio (“Ciliegia”) – Le avventure di Pinocchio, primo capitolo – che “suonava” più o meno così: “Buongiorno mastr’Antonio, cosa fate costì per terra?”. Mastro Ciliegia, appena caduto rovinosamente sul pavimento, rispose: “Insegno l’abbaco alle formicole…”.

Cosa c’entra tutto questo con il professor Alleva? Presto detto: intanto Pinocchio, storia, racconto immortale che parla ai ragazzi, agli uomini, ai bambini; a tutti. Poi le “formicole”, che il piccolo Alleva osservava prima di saper camminare per ore con interesse; le osservava e, forse ancora inconsapevolmente, le “studiava”, meravigliando i suoi coetanei che a quell’età preferivano, ovviamente, occuparsi di ben altro.

“Sì, avevo una curiosità frenetica per gli animali. Gironzolavo per i parchi raccattando animaletti feriti, pipistrelli in letargo, serpentelli…”.

Così comincia il nostro dialogo; lui, studioso di lungo corso e di chiara fama ed io, giornalista tra i tanti che – come tanti – cerca di mostrare un minimo di competenza in una materia (magari fosse una sola…!) di cui sa poco o nulla.

Ma niente paura: il professor Alleva non mi riceve assiso su una cattedra alta duemila metri. È uno studioso ma è, soprattutto, un uomo dotato di fine ironia. Insomma un ottimo “animale da salotto”.

Salotto “buono”? Sì, se per buono intendiamo le buone frequentazioni di una vita (la professoressa Levi Montalcini, tanto per dire, è stata sua vicina di casa e poi cara amica per anni). No, se per buono intendiamo quei pomeriggi interminabili trascorsi tra drink e gossip, in compagnia di gran signore e gran signori dediti a chiacchierare del nulla.

Professore, ho cercato di essere puntualissimo: mi ha detto ore 11, sono le 11 e quattro secondi…

“Ottimo. Avrebbe potuto lavorare anche lei con la Montalcini: se ritardavi di un solo minuto ti rimproverava con durezza”.

No, io con la compianta premio Nobel non avrei potuto collaborare; diciamo che mi mancano gli… strumenti culturali. Il professore sì: lui l’ha fatto, così come ha fatto miriadi di altre cose.

Vogliamo parlare dei giovani, professore? E di come provano a “costruire” il loro futuro?

“Va bene, parliamone. Parliamo – per esempio – di quei genitori che forzano i figli perché diventino uomini e donne in carriera, avviandoli a studi che, spesso e volentieri, i ragazzi non vorrebbero intraprendere. No, cari miei: i ragazzi devono sapersi guardare dentro e seguire i loro interessi. Interessi che non li porteranno a diventare capitani d’industria, principi del foro o ingegneri strapagati? Non ha importanza; molto più importante fare ciò per cui ci si sente ‘pieni’, appagati. Quand’ero liceale, tanto per dire, la sera spesso invece di saltare da un locale all’altro correvo a Villa Borghese per ascoltare il canto delle civette. Sentivo di volerlo fare e lo facevo, punto. Ma non ero un ‘nerd’, un secchioncello che passava dai libri ai formicai senza occuparsi degli amici, delle fanciulle, eccetera. Niente di tutto questo: ho fatto il ’68, ho fatto il ragazzo, l’amico, i concerti romani dei Rolling Stones e dei Pink Floyd, l’adolescente innamorato… Ho fatto tutto quel che si conviene dai 15 anni in su”.

Andando anche oltre: lei frequentava il liceo (Tasso) ma, già a 16 anni, seguiva lezioni universitarie…

“Seguivo un interesse, ribadisco. E dire ‘interesse’ non è lo stesso di ‘passione’. Poi abitavo accanto alla Sapienza Oggi sembra che se non hai una passione sei un malato grave. No, quel che conta è l’inclinazione, qualunque sia. E la famiglia, i genitori devono lasciarti fare, come fece mio padre che mi regalò una grande gabbia in cui allevare trenta colombi viaggiatori. Insomma, per dirla con Aldo Visalberghi, pedagogista di spessore e promotore della riforma della scuola media unica (1962, ndr), mio mentore filosofico, ci si deve affidare al Sacro Triangolo: studente, famiglia, scuola”.

Ecco, veniamo alla scuola

“Già, la scuola. Il vero coach è – dovrebbe essere – il docente. Ma oggi i professori sono guardati come dei pezzenti, degli sfigati che non devono azzardarsi a dire a tuo figlio che ha sbagliato… Se poi il ‘pargolo’ viene bocciato si corre (si ricorre) al Tar perché non è lui, non è il figliolo che ha fallito, che ha studiato poco o niente; sono i docenti, maledettissimi ministeriali scaldasedia, che non hanno capito e che devono pagarla cara…”.

Beh, non esageriamo, non tutti i genitori, non tutte le famiglie soffrono di cotanta mania di persecuzione…

“Va bene, mi son fatto prendere la mano, ma è vero che oggi i ‘prof’ non godono più del rispetto di una volta. Non esiste più l’Italia rurale? Il maestro Manzi è una pagina di storia ingiallita? Non è questo il punto: una volta anche la buona borghesia (media, alta e pure altissima) rispettava i professori”.

Oggi invece…

“Oggi, l’ho già detto, non è così. Anche se c’è ancora una solida, vera borghesia che considera il docente con il dovuto rispetto e riguardo”.

 

Passioni, inclinazioni, il docente “coach”, la borghesia di ieri e di oggi… Non è facile seguire il professor Alleva: ogni argomento ne “tocca” mille altri. Lo seguo con fatica ma anche con passione (ahimè, mi è sfuggita una parolaccia) dato che – l’ho già detto? – di qualunque cosa parli, dal neurone del topo alla politica, dalla scuola alla musica, lo fa con leggerezza; e ironia.

Due anni avanti a scuola; la mattina al liceo, il pomeriggio a seguire lezioni universitarie. E, a proposito del maestro Manzi: “Sono stato anche nella sua trasmissione – mi rivela – nel ruolo del ‘bambino che spiega il fossile’”.

Il bambino che studiava i formicai; il ragazzo che afferrava serpenti e che si beava, di notte, con il canto delle civette. Lo studente modello un po’ liceale e un po’ universitario. Il professore che diventa accademico dei Lincei già a 49 anni. Lo studioso cui conferiscono mille incarichi (di solito gratuiti) nelle università e nei ministeri… Come si può riassumere tutto questo? La tentazione di dire “genio” è forte.

Niente affatto, mi dice lui; e aggiunge “Non ho fatto altro che seguire le mie inclinazioni, i miei interessi; ben ‘sponsorizzato’ dalla famiglia e dalla scuola. Quando mi presentano uno studio sul comportamento delle tartarughe, decine di pagine fatte di grafici, schemi, linee, note, io tra una riga e l’altra ‘vedo’ la tartaruga che si muove, quasi la tocco; vedo l’esperimento. Perché l’ho fatto mille volte da ragazzo, ci ho vissuto insieme; perché m’interessava farlo. Perché nessuno, in famiglia o altrove, mi ha mai forzato a cambiare rotta. Hanno sopportato di tutto, i miei eroici famigliari”.

Insomma la morale della favola, conclude Alleva (non quella di Pinocchio ma in parte, forse, anche quella), è che “Non bisogna sforzarsi di imparare mille cose per riempire il curriculum, ma seguire la propria appassionata curiosità”.

 

 

 

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