PROTAGONISTI: “Federico Palmaroli”

“Federico Palmaroli & Osho: una frase vi seppellirà”

 

Una frase, una risata. Risate fragorose, quelle che ti lasciano senza fiato e che ti fanno guardare il mondo, dalla politica alla finanza, dallo spettacolo allo sport, come un grande contenitore di personaggi inconsapevolmente comici, macchiette che – forse – sarebbero ben felici di dire, e fare, quello che Federico immagina. È davvero così? Chiediamolo a lui.

 

Federico Palmaroli, classe 1973, nato in zona Monteverde ma gran frequentatore di Roma Nord. Osho Rajneesh, nato in India nel 1931 ed ivi scomparso nel 1990; pensatore, maestro spirituale, mistico e pure professore di filosofia.

Cosa unisce Osho e Federico, nati in due diversi mondi ed in epoche lontane? Uno nel bel mezzo dei Settanta, l’altro all’alba dei Trenta. Federico nell’Occidente opulento, Osho in quell’Oriente che combatteva – e combatte – contro la fame, la povertà, le soverchierie dei potenti.

Cos’hanno in comune? Tutto e niente. Potremmo cominciare dalla barba (Federico ce l’ha, Osho portava quella d’ordinanza dei santoni) ma anche qui, ahinoi, la differenza è tanta. Come ne usciamo?

Ne usciamo entrando: entriamo in una stanza per fare due chiacchiere con Federico. Lui è quello che dà vita a #lepiubellefrasidiosho. Personaggi e interpreti: noi, i nostri politici e quelli che occupano gli altri “palazzi” della Terra; politici, sportivi, uomini di spettacolo, intellettuali, insomma tutti i protagonisti più o meno noti, più o meno simpatici, che riempiono le cronache quotidiane.

“Iniziai quasi per caso, per divertimento – ci dice – utilizzando, in principio, proprio l’immagine di Osho. In seguito ebbi un’accesa querelle con i suoi aventi causa che non presero bene il fatto di veder romanizzato il loro idolo e quindi cambiai marcia, cambiai format…”.

Il “format” di oggi lo conosciamo tutti: il personaggio di turno, che sia Trump, Angela Merkel o Biden, Salvini o Zaia, De Luca, Mattarella, Berlusconi o il principe Carlo parlano e pensano in romanesco. Cosa dicono? Dicono, forse, quello che veramente vorrebbero dire. In ogni caso ci strappano ogni giorno una risata; risate fragorose o sorrisi con una punta d’amaro, ma va bene così.

#lepiubellefrasidiosho totalizza milioni di “like” nei social, innumerevoli condivisioni oltre a citazioni televisive e richiami in ogni dove.

Un’immagine, un meme o – come dice lui – un fotoromanzo che comincia e finisce in un solo scatto; basta uno sguardo, basta leggere il breve dialogo e si capisce tutta la storia.

“Dove prendo l’ispirazione? Dietro l’angolo, in autobus, in giro per Roma. Prendo le voci di noi tutti, noi signori “nessuno”, e le presto a Giorgia Meloni, a Renzi, a Trump, a Greta, per raccontare i grandi temi della politica, dell’attualità con un linguaggio quotidiano, creando una sorta di metafora delle questioni importanti”.

Raccontare l’attualità sotto forma di metafora; Federico lo sa fare, e lo sa fare bene. Per quanto riguarda l’ispirazione, diremo che anche Carlo Verdone – decenni fa – disse: “I miei film li ho scritti guardandomi intorno, salendo sugli autobus, girando e origliando negli angoli di Roma…”.

Gli artisti fanno così: guardano, osservano, ascoltano come noi; però vedono quel particolare in più, scovano un movimento, una luce, un colore che diventa la materia prima per scrivere, raccontare, filmare. Creare.

Visto che ci siamo, citiamo alla rinfusa qualche fotogramma. Scena: gente in fila in un ufficio dove si ritira il Reddito di Cittadinanza. In fondo alla sala qualcuno grida: “È de quarcuno er Porsche qui fuori in doppia fila?”. Altra scena, davanti alla Fontana di Trevi (G20): Draghi chiede al premier inglese: “Te ce l’hai quarche moneta? Sennò me tocca annà a spiccià er Recovery Fund”. Ancora: il generale Figliuolo dopo le manifestazioni no Green-Pass di Roma che commenta soddisfatto: “Nei lacrimogeni ce stava er vaccino…!”.

 

Fermiamoci qui, Federico. Fermiamoci alla pandemia, all’emergenza che da straordinaria sembra diventata ordinaria. Ai toni che si fanno sempre più aspri, esasperati. È più difficile, oggi, fare satira?

“Si respira un’aria pesante, non c’è dubbio. Aria che nei social è a dir poco pestilenziale. Nei social è in atto una sorta di guerra civile tra no-vax, no-green pass e tutti quelli della “squadra” avversa. Ma non mi perdo d’animo, faccio ironia su tutto e tutti, colpendo di qua e di là senza tifare per chicchessia. Perché anche dietro le questioni più serie c’è spazio per lo sberleffo. Uno sberleffo che, sempre e comunque, induce anche a riflettere”.

Questa è la funzione della satira: graffiante, divertente, talvolta cattivella ma capace di formare, di spiegare, di mettere a nudo la realtà. Credi che la fortuna abbia avuto un ruolo nel tuo successo?

“La fortuna conta, come no. L’incontro con “lei”, forse, c’è stato quando scelsi Osho, quello vero. Un nome che si ricorda facilmente e un personaggio più che autorevole. Quando cambiai strada – lasciando il buon Rajneesh e tuffandomi nella satira a 360 gradi – ormai il più era fatto. Avrò perso qualche follower legato al vecchio format ma mi son ritagliato uno spazio che offre infinite possibilità. Ogni giorno accade qualcosa, siamo quasi otto miliardi e l’attualità, per la satira, è un carburante inesauribile”.

Paura di sbagliare, timore dei giudizi altrui… È successo anche a te?

“Lavorando con i social la paura di sbagliare, di non cogliere nel segno, è una compagnia costante. Diventi schiavo dei numeri (like, follower, condivisioni), numeri che salendo e scendendo ti cambiano l’umore. Stai lì, da solo, e talvolta capita di fare una caz…!” 

Parliamo della crisi. Crisi economica onnipresente: quella partita nel 2008 e poi quella innescata dalla pandemia. Siamo sempre lì, sempre alla crisi. Molti si lamentano mentre altri, chissà come, crescono, si espandono, macinano successi. Insomma, la crisi c’è o non c’è?

“Leggendo vecchi articoli sui quotidiani, anche quelli di quarant’anni fa, l’impressione che si ricava è che la crisi c’era, c’è, ci sarà. Se ne è parlato (e piagnucolato) in tutte le epoche e in tutte le epoche è stata usata, alla bisogna, come un ottimo alibi per non fare, non pagare, non tenere fede agli impegni. La crisi, poi il globalismo, poi Big Pharma, poi la Terra tonda perché conviene alle compagnie aeree… Tutto questo nei social è amplificato all’inverosimile. I social, se vogliamo, sono come un grande microscopio puntato sui disagi della società”.

 

Un microscopio puntato… Niente male come aforisma. Un’ottima frase, una delle più belle di… Osho? No, di Federico Palmaroli, quello seduto davanti a noi, fuori dai fotogrammi, fatto di cellule e non di pixel.

Federico ha pubblicato anche libri; è uscita a fine novembre la sua ultima pubblicazione, intitolata “Carcola che ve sfonno”, che raccoglie tutto quanto accaduto nell’ultimo anno attraverso le sue “frasi”. Non poteva mancare la Tv: è in dirittura d’arrivo, su RaiPlay, una serie ispirata a #lepiùbellefrasidiosho (quelle delle origini), che vede protagonista Neri Marcorè nei panni di un santone di periferia.

Oggi come ieri, come domani, come sempre, una risata ci seppellirà.

Per fortuna.

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