Claudio Andreoli: arte e cultura

ARTE E CULTURA: Claudio Andreoli

Claudio Andreoli: la ricerca di quell’ “imponderabile che dà vita eterna ad un’opera d’arte”

 

Dall’architettura alla più pura ed estenuante ricerca di quell’ingrediente segreto che spesso sembra mancare all’arte di oggi. Per Claudio Andreoli, artista romano classe 1962, questa invece è la missione. Partendo dai maestri del passato insegue costantemente un’energia invisibile che solo un’opera d’arte a suo modo può darti e che arriva dritta all’osservatore comunicando in maniera sottile sensazioni ed emozioni.

 

Com’è iniziato il tuo percorso nel mondo dell’arte? 

Tutto nasce da un piccolissimo spazio alla Garbatella, un sottotetto mansardato di pochi metri quadrati, che diventerà il mio studio storico. Un vero e proprio rifugio al quale ancora oggi, nonostante l’esigenza di spazi più grandi, non riesco assolutamente a rinunciare. Considerandolo la vera incubatrice delle mie creazioni artistiche, lo custodisco e curo con grande gelosia. Ed è proprio in questo spazio che ho cominciato a realizzare le mie prime opere “minime”, una ricerca che si trasformerà in un progetto di street art. Nessun murales, ma piccoli frammenti di un percorso artistico volutamente abbandonato nella città: decine e decine di piccole opere realizzate con materiali di recupero. Ero incuriosito dalla gente che con entusiasmo o circospezione se ne impossessava.

Qual è la tua fonte principale di ispirazione? 

Dopo la laurea in architettura e una lunga ricerca nel mondo del design (la panca in foto è del 1987), sono sempre stato appassionato dell’arte preistorica ma ovviamente anche dei classici maestri del secolo scorso: Lucio Fontana, Paolo Scheggi, Alberto Burri, Piero Manzoni, Alberto Giacometti, Agostino Bonalumi, Henry Moore e moltissimi altri. Osservo sempre e attentamente le loro opere alla ricerca del rapporto tra il semplice “operare” e la ricerca di quell’imponderabile che da vita eterna, nel vero senso della parola, ad un’opera d’arte.

Che differenze hai notato nel mondo dell’arte tra il pre e post Covid? 

Negli artisti noto una accelerazione nell’uso degli strumenti digitali ma anche una maggiore riflessione sui temi affrontati, una maturazione generale del sistema arte sempre più interconnesso con ogni disciplina a livello mondiale.

Progetti per il 2023?

Per quest’anno sono in preparazione delle mostre personali e l’apertura di un micro luogo espositivo sempre orientato al mondo libero della street art. La prima mostra è in programmazione nella Galleria Gallerati a Roma dove verranno esposte 100 sculture in cemento e 100 interpretazioni digitali delle stesse. Un’intima interazione tra l’opera reale e digitale, un lavoro phygital (physical-digital).

La soddisfazione più grande della tua carriera d’artista fino ad ora? 

La partecipazione un po’rocambolesca ad Art Basel in Svizzera nel 2015 con un’opera in cemento che è misteriosamente scomparsa, forse un destino insito proprio nel DNA da street artist di questo lavoro. Per ironia della sorte i lavori “minimi” poi mi hanno portato alla realizzazione della più grande tela per una committenza privata della capitale. Un complesso incastro di tele e telai lungo 18 e alto 3 metri che ha richiesto più due anni di lavoro concluso anche grazie al prezioso supporto della Romana Telai di Fausto Cantagalli.

Il sogno nel cassetto?

Non c’è un sogno in particolare, ma la determinazione a chiudere tantissimi progetti che sono ancora sulla carta. Al momento sto sviluppando un progetto ambiziosissimo: “21 grammi, il peso dell’anima”. In giallo, arancione e blu. Uno studio sull’essenza stessa dell’arte, nel suo trapasso ideale tra l’essere corpo e l’essere anima. Una ricerca in cui cerco di cogliere in un fermo immagine quel passaggio fulmineo quasi impercettibile in cui l’opera stessa si trasforma in pura energia cromatica. Alcune di queste tele sono state recentemente selezionate per la realizzazione di un film prodotto dalla Rai.

Dovendo dare un consiglio ai nostri giovani lettori che vorrebbero, come te, dedicarsi alla propria passione per l’arte, cosa diresti?

L’arte, soprattutto quella contemporanea, deve innescare in ognuno di noi una rinnovata coscienza di sé stessi e del proprio ruolo. Rivoluzionandolo.

Che rapporto ha l’artista con il mercato?

La diffusione di centinaia di piccole opere mi ha permesso di costruire una rete di collezionisti che alimentano continuamente il lavoro. Molto buono il rapporto con le gallerie basato sempre su un approfondito lavoro di ricerca e sperimentazione. L’esposizione deve essere il risultato naturale del lavoro, non l’obiettivo.

Secondo te in che modo sta cambiando oggi il mondo dell’arte con l’uso sempre maggiore di internet? 

Internet permette all’arte di avere un pubblico sempre più diffuso eliminando le barriere geografiche, aspetto fondamentale per la diffusione della cultura.

Qual è l’opera che hai realizzato a cui sei più legato?

Ovviamente è sempre quella che ancora devo concludere. Dunque un legame che si concretizza nel “fare”, nella ricerca ancora non terminata. Detto questo non c’è nessuna mia opera del passato a cui sono particolarmente legato, anche se passo molto tempo ad osservarle estraniato come si fa per cose che fatalmente non ti appartengono più. L’artista non ha gli strumenti per definire se quello che ha creato sia o meno un’opera d’arte e tantomeno un capolavoro. Mi capita, anche se raramente, di averne la coscienza.

All’età di 5 anni una assistente scolastica strappò un lavoro che stavo realizzando perché mi ero “scomposto” sdraiandomi sul tavolo. Ci rimasi molto male. Da allora non sono più legato ai lavori, sono più felice quando prendono la loro strada.

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