EDITORIALE: VITA TUA, MORTE MIA

Vita tua, morte mia

Perché l’umanità non riesce a vivere in armonia? Questa è forse la domanda delle domande, attuale come non mai, cui nessuno pare saper dare una risposta. Eppure anni fa una risposta la diede in qualche modo il professor Emilio Del Giudice, fisico teorico e divulgatore scientifico scomparso il 31 gennaio de 2014, che durante una lezione, di vita prima che di scienza, riuscì a sintetizzare perfettamente gli stati d’animo di tutte le persone che oggi stanno vivendo un senso di oppressione nella propria vita sociale e professionale, frutto di un’ideologia politica e socio-economia che inevitabilmente avrebbe portato a questo malessere.

“La società – osservò Del Giudice – si è costruita con sue leggi, che non sono la conseguenza della società della biologia, sono le leggi dell’economia che in principio sono leggi diverse. La legge della biologia richiede la cooperazione. La legge dell’economia richiede la competizione. Quindi in questo senso, l’economia è intrinsecamente un fatto patologico. E’ intrinsecamente un fatto che genera patologia, che genera malattia. Finora – prosegue il professore – nella storia umana c’era stata nella preistoria perché la specie umana, come tale, non ha mai avuto la possibilità di formarsi. Perché per formarsi, la specie umana, i suoi componenti debbono risuonare tra di loro.  Lo possono fare? No. Ci insegnano che il principio della saggezza per l’economia è la competizione, e la competizione è l’esatto contrario della risonanza. Come si fa a risuonare con uno se bisogna stare attenti che questo ci crei terra bruciata?”, si, e ci, domanda Del Giudice. E ancora:  “Come si fa a risuonare con una persona con la quale bisogna competere ed essere più bravo di quest’ultimo? Perché il posto di lavoro, ad esempio, ce l’ho io e non ce l’ha lui… E su questo c’è poco da discutere, professori o non professori. Quindi in questo senso – conclude Del Giudice – finché esiste un regime fondato sulla competizione tra esseri umani, il problema della salute e della felicità non potrà mai essere risolto. Gli psicologi potranno dare fondo a tutte le loro esperienze, potranno fare sedute ad oltranza, gruppi eccetera però i loro risultati saranno transitori. Il loro paziente esce e viene informato  che lui nella sua azienda è di troppo e che viene licenziato. A questo punto, tutto il lavoro psicologico fatto è perduto”.

E perduta non vorremmo che fosse, invece, questa preziosa lezione. Ormai basiamo tutto sulla competizione, dove partecipare non è importante quanto vincere. Piuttosto che unirci e contribuire, vige l’imperativo “vita tua morte mia”. Col risultato che da una parte abbiamo il dono di un pianeta pieno di risorse ed energie pulite illimitate, che potrebbe far vivere tutti nel benessere. Ma dall’altra, seguendo lo schema perverso della competizione estremizzata, ci ritroviamo in un mondo dove pochi sono plurimiliardari. E tra guerre di potere, di mercato e di politiche economiche, questi sono realmente l’unica causa dell’accelerazione del cambiamento climatico e l’unica causa della povertà. Dividi et impera. Unisci e viviamo tutti felici.

Come arrivarci? Lo abbiamo imparato con i social media marketing: cambiamo idea e spargiamo la voce. Seminiamo il dubbio. Perché se è vero che il 10% della popolazione mondiale assorbe il 52% del reddito globale, è vero anche che se questo 52% si risvegliasse dal letargo delle coscienze e del sapere e cambiasse anche solo opinione, ebbene se ciò accadesse sarebbe davvero una rivoluzione e tutto, finalmente, potrebbe mutare per il meglio. Perché se si impera dividendo, uniti si fa la forza!

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