TALE MADRE, TALE FIGLIA:”Lavinia & Daniela: pace bellica”

DI ENRICO BARRACCO

talepadre_talefiglio-3

 

Lavinia & Daniela: pace bellica

Le figlie somigliano alle madri? Di certo si osservano da vicino, fino all’ultimo dettaglio. Si osservano e cercano, nei limiti del possibile, di distinguersi. Si distinguono ma, talvolta, si “fotocopiano”. Una pace apparente che sfocia ben presto nella guerra fredda. E, più avanti, in un conflitto rovente…

di BARONEROZZO

Si comincia: nome, cognome, professione.

“Lavinia Martinelli, diciotto anni, ultimo anno di liceo linguistico al “De Santis”. Perché il linguistico? Adoro conoscere le culture diverse, adoro viaggiare. E ogni viaggio inizia così: inizia cercando di parlare la lingua altrui…”.

E del secondo lavoro che ne dici? Il lavoro di figlia…

“Sembrerà strano ma, per ora, niente conflitti. Quanto meno nulla di lacerante. Ci scambiamo confidenze, viaggiamo insieme, condividiamo tante cose…”.

Siamo al telefono, non so dove si trovi lei, ma ho una certezza: non è sola, ha qualcuno vicino. Molto vicino. Fingo di non essermi accorto di nulla e vado avanti.

Pensa a tua madre ai suoi 18 anni; siamo a metà degli anni Ottanta. Cosa le invidi?

“La invidio perché in quell’epoca non c’erano i ‘social’. Sono una prigione, i social: se ti ‘cancelli’ o non ti iscrivi, non esisti, scompari. Se invece stai ‘dentro’ (e ci devi stare) diventi un altro, un’altra. Un’altra persona, un’altra vita. Anzi, due tre, dieci vite diverse. E non ti riconosci più…”.

 

Sali ancora sulla macchina del tempo (e portati la tua minicar): fermati al 1982-83: immagina una notte buia, il motore si spegne, il cellulare non esiste. Che fai?

“Non so, scendo, vado in cerca di un locale aperto, chiedo un telefono… Oppure una cabina pubblica. Paura? Sì, avrei paura. Mai telefonato da una cabina, e mai spedito una lettera, una cartolina con il francobollo. È grave?”.

Non esageriamo: nel 1980 non si chiedevano soccorsi per posta. Prima o poi un telefono si trovava, diamine! Un telefono “asocial”, capace solo di parlare, che non entrava in tasca e non era pronto per i selfie. Pronto, chi parla? Tutto qua.

 

Qualcosa che tua madre non sopporta di te e qualcosa che ti invidia.

“Le dà fastidio quando le rispondo, quando ‘mi rivolto’. Invidia? Beh, forse lei non ha goduto della mia libertà: uscire e rientrare tardi, partire nel week-end, andare in vacanza con chi ti va, estati intere lontano dalla famiglia… Tutto questo per lei era impensabile”.

 

Ti capita mai di aver paura di lei? Paura di rivelarle qualcosa, timore di un sonoro cazziatone?

 

“No, non le nascondo mai nulla. Sa tutto di me e io di lei. No, non c’è pericolo, assolutamente”.

Non c’è pericolo, dice. Ma a me vien da dire: “Taci, il nemico ti ascolta…”. Perché il “nemico” (la mamma) è lì accanto, sta ascoltando, sta ridendo. No, così non vale, mi dico. Faccio buon viso a cattivo gioco, vado avanti.

Lavinia, ti è mai capitato di vergognarti di lei? Occasioni nelle quali avresti voluto essere lontana mille chilometri ed esclamare “Chi la conosce quella?”.

“In effetti qualche volta nei negozi, al supermercato, si mette a battibecccare con il cassiere, il commesso. Grida, protesta, tutti si voltano a guardarla… Ecco, in quei casi vorrei scomparire, dissolvermi”.

 

La tua giornata tipo: la tua serata, le tue vacanze. Dove, come quando.

“Scuola, pranzo, studio. Tre volte alla settimana in palestra. La sera esco solo il venerdì e il sabato. Dove? Ponte Milvio, qualche pub, quasi sempre in gruppo, raramente sola con ‘lui’”.

 

Un bel quadretto: lo studio, la palestra, tirare tardi solo nel week-end. Mai uno “strappo”, una trasgressione, una porta sbattuta? Così facile il lavoro di figlia?

“Facilissimo, non abbiamo segreti, non viviamo conflitti. Per ora. Non va bene?”.

 

Certo che va bene, va benissimo. Andrebbe però meglio, molto meglio se questo fosse un dialogo “a due”. Ma così non è.

 

Ultma domanda: dice qualcosa, esprime giudizi sul tuo “lui”?

“No, silenzio assoluto. Solo quando ci sto male, se litigo, allora sì, allora prende subito le mie difese… Colpa sua, colpa di lui, meglio perderlo che trovarlo”.

Che dire? Un idillio, una fiaba della buonanotte. Due sorelle, due amiche. Quello che pensa l’una pensa anche l’altra. Soprattutto: se una è al telefono, l’altra ascolta.

(PAGINA DESTRA, MADRE)

Nome, cognome, età, professione?

“Daniela Faraone, insegnante di Diritto ed Economia in un istituto tecnico. Età? Non si dice, non si dovrebbe dire. E va bene, ci provo: sono del 1965”.

 

Del ’65, perfetto. Ma facciamo pure del ’69, non ha importanza. Secondo lavoro, madre. Una gran fatica…

“Madre di una figlia isterica, eccome. A quest’età sono tutte così, eccezioni a parte. Fuoco e fiamme ma poi, puntualmente, arrivano i pompieri. E tutto si ricuce, perché lei, senza di me, non ci può stare (e viceversa, pure durante le telefonate, ndR)”.

Torniamo indietro nel tempo, a quando eri diciottenne (non diciamo che anno era, fai tu il conto): cosa facevi che tua figlia non fa, cosa avevi che lei non ha? Cosa le invidi e per cosa, invece, la compatisci?

“Lei ha dei genitori fantastici, che la lasciano libera, che non fanno domande. Può andare in vacanza con chi vuole, uscire e rientrare senza troppe spiegazioni. Tutto questo per me, a diciott’anni, era inimmaginabile: vacanze ‘obbligatorie’ con la famiglia, orari rigidi, guai a sgarrare. Oggi, invece, se io parto con mia figlia per una vacanza, si tratta di una nostra libera scelta: è successo e ci siamo divertite. Divertite un mondo. Sì, confermo, siamo dei bravissimi genitori…”.

Bravissimi, va bene. Ma ci sarà pure qualcosa che non ti va giù, qualcosa di tua figlia – quell’isterica di Lavinia – che non riesci proprio a capire.

“È cocciuta, terribilmente cocciuta: se si mette una cosa in testa va avanti, va dritta come un cavallo. Cambiare idea, prendere in considerazione un compromesso, mai e poi mai! Non concepisce di saltare un impegno, di lasciare spazio all’imprevisto. Un’ora di palestra perduta diventa una tragedia. Ma poi capisco, comprendo, il contrasto rientra”.

Rieccoci: grandi amiche, guai a litigare, guai a dirsele (o darsele) di santa ragione. E poi (di nuovo), la mamma telefona e la figlia ascolta.

 

Paura di lei? Un giudizio, uno sguardo di tua figlia che ti potrebbe cambiare la giornata?

“Paura? Macché. Le chiedo consigli su cosa indossare, tengo al suo parere, tutto qua”.

Già, tutto qua: se poi madre e figlia si scambiano i vestiti, frugano l’una nell’armadio dell’altra, non è facile litigare. Come si fa a criticare un vestito che ho comprato io, un colore che ho scelto io? Una vergogna, diciamolo.

Provo a insistere: una fissazione di Lavinia, qualcosa che non si può dire, non si può toccare?

“Mai parlare del suo ragazzo: proibito commentare. Una minuscola critica, anche di sfuggita, ed è la fine. Poi i capelli: Lavinia ha i capelli sempre profumati, piegati, ordinati uno per uno. Vietato toccarli, vietato guardarli: si rovinano. I capelli e i due piumini che si porta a letto: sono la sua coperta di Linus…”.

 

Qualcosa viene fuori, finalmente: una figlia isterica che passa il tempo a rimirarsi i capelli, a ordinarli, profumarli, forse li conta pure, forse li chiama per nome uno per uno… I capelli non si toccano, e poi niente commenti sul ragazzo, fatevi i fattacci vostri. E ora buonanotte, i miei due piumini mi aspettano a letto: il mondo resti fuori, grazie.

La tua giornata tipo, la tua serata, le tue vacanze (quando avevi diciott’anni, giusto qualche giorno fa…).

“A scuola col motorino. Io avevo il motorino, Lavinia no, non sia mai: troppo pericoloso, molto meglio la minicar. Lei ce l’ha e va bene così. Pomeriggio al Parnaso con il fidanzatino, piazzale delle Muse. Si usciva di sera al sabato, solo di sabato. Vacanze? Panarea, Circeo, Sabaudia. Ma spesso, troppo spesso, in vacanza con i miei…”.

Il tuo ragazzo: che ne dicevano i genitori?

“Mia madre li osservava a fondo, li squadrava, mi faceva il terzo grado. Io cercavo di non farglieli vedere, scappavo, raccontavo un bel po’ di balle…”.

Fermiamoci qui. A completamento dell’intervista, per un quadro più chiaro, dovremmo forse incontrare Mustafà, che per anni è stato l’anima del Parnaso. Chiedere a lui di descrivere i diciott’anni di Daniela, i suoi pomeriggi spericolati sul motorino (senza casco, ahia!) i suoi capelli al vento troppo ordinati, troppo profumati.

 

Tale madre, tale figlia: Lavinia & Daniela, la guerra fredda tanto fredda non è!

Share This

Copy Link to Clipboard

Copy