BELIEVE: “Alessio Caronti”

DI BEATRICE GENTILI

Intervista ad Alessio Caronti

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Quando hai deciso di diventare un dj?

Ho sempre avuto la passione per la musica e, quando ero più giovane, ho usato anche supporti che già all’epoca si potevano considerare tramontati o quasi (vinili, cd e persino audiocassette), ma l’inizio vero e proprio della mia attività di dj risale a sei o sette anni fa, quando ho comprato una console e ho cominciato a suonare in pub e piccoli locali. Frequentavo il primo anno di scuola superiore e, nel frattempo, avevo molto approfondito i miei interessi musicali, cosa che mi è tornata utile soprattutto nel momento in cui ho cominciato a collaborare con alcune organizzazioni del litorale romano per delle serate in discoteca. Ricordo in particolare un divertentissimo pop corn party, ad Anzio, con i cannoni che sparavano pop corn!

Hai avuto esperienze anche al di fuori dei confini laziali?

Certo. Per esempio in Toscana (a Massa e a Siena) e a Nibionno, in provincia di Lecco. Poi ho avuto la fortuna di poter mettere dischi alle Maldive, dove sono stato due mesi e mezzo. E in seguito mi sono esibito in una chiesa sconsacrata di Praga, con duemila persone che ballavano. È stato bellissimo. Da un po’ di tempo collaboro con la società Errezeta RZ Events di Milano e ho già delle date fissate per il prossimo luglio: la prima a Rimini, poi Lloret del Mar presso Barcellona e per concludere la Croazia. Infine ho da poco sostenuto le selezioni per diventare dj sulle navi della Costa Crociere: mi faranno sapere a breve.

Sei sempre da solo durante le tue sessioni?

 

Sì, e ho carta bianca, nel senso che gestisco tutto l’intrattenimento musicale.

Come scegli il tipo di musica da mettere?

In base alle caratteristiche della serata, anche se tendo a rimanere nell’ambito della techno, che ho sempre apprezzato anche da ascoltatore.

Quali altri generi ti piacciono?

Spesso e volentieri propongo pezzi electro e Melbourne, e non disdegno di infilare ogni tanto brani commerciali, sempre però dopo un attacco adeguatamente “spinto”. Si tratta di musica proveniente soprattutto da Australia e Brasile.

Tu proponi musica composta da altri: qual è il lato creativo del tuo lavoro?

Consiste nel comporre una bella selezione che non assomigli a quella di nessun altro dj. Svolgo delle ricerche molto approfondite e sono attentissimo alla scelta musicale e al missaggio.

C’è qualche tuo collega che ammiri particolarmente o che consideri un modello?

 

L’unico nome che mi sento di fare è quello di un brasiliano, MiniKore, di cui ho spesso acquistato le tracce su Beatport, un negozio di musica in rete specializzato in dance elettronica.

Hai mai pensato di creare delle tracce tue?

Ci sto lavorando, agevolato dal fatto di avere aperto da poco un mio studio di produzione e registrazione, ma non uscirò allo scoperto finché non avrò pronto un prodotto di cui sia completamente convinto. Voglio essere sicuro di proporre qualcosa di diverso da ciò che già si fa qui in Italia.

Come vanno le cose nel tuo settore da un punto di vista lavorativo?

Con l’evoluzione digitale della mia professione chiunque, oggi, può attaccare una console al computer e definirsi dj, e questo ha danneggiato in particolare coloro, come me, danno importanza alla qualità. A un gestore ormai interessa molto di più la quantità di gente che riesci a portare nel suo locale che non il livello delle tue performance. Io, però, continuo a lavorare usando i piatti facendo affidamento sul mio orecchio. E intendo farlo anche in futuro.

 

Qual è la cosa che ti dà maggior soddisfazione?

Vedere la pista gremita di persone intente nel ballo. Tutte, dalla prima all’ultima.

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