CAPITANO MIO CAPITANO : ” Prof. Marco Magni”

CAPITANO MIO CAPITANO

Leggiamo spesso di Professori che se ne fregano della loro professione, ma esistono moltissimi docenti che, prima che per lavoro, insegnano per passione, utilizzando le loro conoscenze e i loro studi per far crescere i propri giovani allievi. spesso non vogliono apparire ma noi di Be Different ci siamo resi conto che, al contrario, bisogna dare loro la massima visibilità. ve ne facciamo conoscere alcuni!

 

Intervista al professor Marco Magni

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di Armando de Angelis foto di Denisa Aline Gheorghe 

 

Questo mese i ragazzi del liceo classico e linguistico “Lucrezio Caro” di Roma hanno scelto il professor Marco Magni, docente di Storia e Filosofia, la quale ci racconterà come riesce a conquistare l’attenzione di un’intera classe.

 

Sveglia mattutina, orari da rispettare, compiti a casa, debiti, esami di maturità. Visto così, lo studio assomiglia a una tortura. Eppure a ognuno di noi succede di imbattersi nel professore o nella professoressa che, comunicando il proprio sapere, riescono a rendere le loro lezioni un’esperienza memorabile. Sono gli insegnanti che tutti sperano di incontrare. Sono coloro che cercano di collegare la scuola alla vita, rendendo lo studio una cosa viva e stimolando gli allievi a coltivare i propri talenti.

 

Dove e cosa insegna?

Insegno Storia e Filosofia presso il liceo classico e linguistico “Lucrezio Caro” di Roma.

Da quanto tempo svolge la professione di docente?

Attualmente ho 48 anni e sono divenuto di ruolo nell’anno scolastico 2006-2007. Ho atteso parecchio perché, da quando mi sono laureato, sono trascorsi ben dieci anni prima che fosse indetto un concorso pubblico. L’ho sostenuto e l’ho vinto, ma ho dovuto aspettare ancora a causa del blocco delle immissioni in ruolo deciso dal ministro Letizia Moratti nel 2001.

Perché ha scelto l’insegnamento?

 Mi è sempre piaciuta l’idea di poter contribuire all’educazione dei ragazzi: formarli mentre attraversano una fase determinante della loro crescita lo considero un privilegio. Poi, da un punto di vista più strettamente culturale, la mia professione consente di far confluire nel lavoro, conservando una buona autonomia, i propri interessi personali.

Cosa intende con la parola “autonomia”?

Esiste il vincolo dei programmi scolastici, certo, ma un docente può offrire il proprio apporto all’elaborazione di quello che ritiene essere il metodo didattico migliore. Personalmente, negli ultimi due anni, ho eliminato tutti i manuali di filosofia moderna e contemporanea sostituendoli con delle dispense interamente redatte da me. I ragazzi sono contenti perché chiedo soltanto il rimborso delle spese vive sostenute in copisteria.

 La scelta dell’insegnamento l’ha maturata già da studente oppure dopo?

Avendo scelto di studiare filosofia all’università ero ben consapevole che l’insegnamento fosse uno dei pochi sbocchi professionali che mi si sarebbero prospettati, e in ogni caso era una soluzione a cui ero interessato.

 

Dove ha insegnato prima di arrivare al liceo “Lucrezio Caro”?

Ho fatto il primo anno di prova a Tivoli, al liceo linguistico “Isabella d’Este”. Al “Lucrezio Caro” insegno da otto anni.

 

Non ha mai avuto qualche ripensamento?

No. Via via possono esserci stati problemi circoscritti, ma sulla scelta di fondo non ho mai avuto dubbi.

 

Quali sono le motivazioni più forti nella sua professione?

Il mio è un lavoro in cui puoi mettere a frutto la tua cultura personale e questo è gratificante. E poi stare assieme agli alunni è una cosa che mi piace di per sé.

Come valuta l’atteggiamento dei ragazzi nei confronti degli insegnanti?

 Quando ho iniziato a insegnare ho svolto delle brevi supplenze che sono andate ottimamente: gli studenti si trovavano bene e mi facevano tanti complimenti. Quando sono diventato titolare di cattedra pensavo quindi, idealisticamente, che per motivare gli alunni bastassero la mia passione e le mie conoscenze: non consideravo di avere di fronte a me degli adolescenti a cui, giustamente, piace trasgredire le regole e che sono spesso piuttosto diffidenti. I ragazzi, insomma, mi riconoscevano la simpatia ma non l’autorità. Fino a che, a un certo punto, non ho compreso che ogni tanto devo anche arrabbiarmi e far capire se le cose non stanno andando per il verso giusto. Da tre o quattro anni a questa parte, devo dire, la situazione è molto migliorata.

 

Non pensa che il mancato riconoscimento dell’autorità da parte dei più giovani sia un problema di carattere generale?

Sì, ma non credo sia un fenomeno recente, è così da molti anni. Forse un tempo la scuola era nelle condizioni di affermare la propria autorità imponendo determinate regole ma questa impostazione, dal momento che a studiare non erano in moltissimi, privilegiava i ragazzi delle classi sociali più elevate escludendone tanti altri. Un professore deve sempre ricordare di non avere a che fare con degli adulti ma con degli adolescenti che, in quanto tali, sono in fase di crescita e dunque provano le emozioni in modo più intenso, sono volubili e via dicendo. Il punto fondamentale è conquistare la loro fiducia: il rimprovero può andare bene ma dietro deve sempre esserci il rapporto umano.

 

Quale ritiene essere il segreto del suo successo presso i ragazzi?

Mi hanno sempre detto che spiego bene e in modo chiaro. Inoltre penso che apprezzino il fatto che, se hanno qualche difficoltà, non esito ad ascoltarli e a difendere i loro diritti.

 

Quali sono i lati negativi dell’insegnamento?

 Siccome non devo pagare un affitto e non ho una famiglia da mantenere, quello dei compensi non altissimi rappresenta per me un problema relativo. Ciò che nella scuola proprio non mi piace sono certi atteggiamenti stereotipati.

 

Ovvero?
Si parla molto di supporti psicologici nei confronti dei ragazzi, ma la capacità di comprendere davvero un alunno (mi riferisco soprattutto a quelli più problematici) a me pare poco diffusa e questo mi fa soffrire, ponendomi in una posizione di dissenso rispetto a tanti colleghi. C’è poi da dire che lo Stato si disinteressa colpevolmente della scuola, in particolare di quella pubblica.

 

Che passioni coltiva al di fuori della professione?

Ho sempre continuato a studiare e ad approfondire le mie materie. Poi mi piace scrivere e, di recente, ho pubblicato sul sito della rivista “Micromega” un articolo di critica alla politica scolastica del governo che ha avuto un riscontro lusinghiero, oltre cinquemila “mi piace”. Inoltre amo la musica e suono il pianoforte: non sono un mostro ma con le suite francesi di Bach me la cavo!

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