CAPITANO MIO CAPITANO ” Prof. Giuseppe De Leo “

CAPITANO MIO CAPITANO

Leggiamo spesso di Professori che se ne fregano della loro professione, ma esistono moltissimi docenti che, prima che per lavoro, insegnano per passione, utilizzando le loro conoscenze e i loro studi per far crescere i propri giovani allievi. spesso non vogliono apparire ma noi di Be Different ci siamo resi conto che, al contrario, bisogna dare loro la massima visibilità. ve ne facciamo conoscere alcuni!

CAPITANOMIOCAPITANO

IN QUESTO SECONDO NUMERO DI BE DIFFERENT INTERVISTIAMO UN PROFESSORE DA POCO ANDATO IN PENSIONE: L’EX INSEGNANTE DI CHIMICA GIUSEPPE DE LEO, IL QUALE CI RACCONTERÀ COME RIUSCIVA A CONQUISTARE L’ATTENZIONE DI UN’INTERA CLASSE.

Da quanto tempo ha smesso di insegnare?

L’ultimo mio impegno è rappresentato dagli esami di Stato dello scorso luglio, quindi sono stato collocato a riposo dopo 43 anni di servizio e 36 di effettivo insegnamento. Ma, fosse dipeso da me, avrei probabilmente continuato ancora per un po’.

Qual è l’ultima scuola in cui ha insegnato?

Ho iniziato insegnando chimica negli istituti tecnici industriali ma negli ultimi tre anni ho lavorato in un liceo scientifico, il “Blaise Pascal” di Roma, affiancando alla chimica la biologia e le scienze della Terra, materie nuove che mi hanno costretto a un utile aggiornamento professionale.

Perché ha scelto l’insegnamento?

Quando mi sono iscritto alla facoltà di Chimica, onestamente, non pensa- vo che avrei fatto l’insegnante. Il mio sogno, allora, era la ricerca, sarei voluto rimanere nell’ambito accademico. Un’occasione mi si è anche presentata, ma forse non ho avuto abbastanza coraggio: mi era stata offerta una borsa di studio come assistente presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche, però mi sarei dovuto trasferire a Padova e non me la sono sentita di pesare ancora economicamente sui miei genitori. Inoltre all’epoca avevo una fidanzata a Roma e così ho lasciato perdere, orientandomi sull’insegnamento. Peraltro senza fare alcuna fatica, a differenza di quanto purtroppo accade oggi, a diventare docente di ruolo.

Ha dei rimpianti?

No, nessun rimpianto, perché insegnare ha finito per piacermi molto. Tant’è vero che, come ho già detto, avrei anche continuato a farlo.

Cosa le piaceva maggiormente del suo lavoro?

Certamente il rapporto con gli studenti, che pure è mutato nel corso degli anni. Quando ho cominciato avevo 26 anni, dunque ero poco più grande dei miei alunni, i quali mi percepivano come “vicino” a loro. Alla fine, invece, ero il più anziano di tutti e godevo in maniera quasi automatica di un rispetto dovuto all’età. Senza contare che, in tutto questo tempo, sono profondamente cambiati i ragazzi italiani e il loro rapporto con l’istituzione sco- lastica.

In che consiste questo cambiamento?
La professione di insegnante si è fatta sicuramente più difficile, perché oggi i giovani sono mediamente più fragili e tendono a non riconoscere nessuna autorità. Se ti rispettano, è grazie al fatto che il loro rispetto te lo sei guadagnato. Poi, anche a causa di recenti leggi che colpevolizzano la figura del docente, prendere provvedimenti come la sospensione di un alunno è di fatto divenuto impossibile. Il che vuol dire che il tuo impegno, come insegnante, dovrà essere in primo luogo quello di scongiurare in partenza situazioni che, una volta, avrebbero portato alla sospensione. Ormai se uno studente ti manda a quel paese sei finito, perché i metodi tradizionali per rivalersi nei suoi confronti non sono più servibili e tu ti sei giocato il tuo prestigio: non solo agli occhi di quello studente ma della classe intera.

Hai mai vissuto episodi di questo tipo?

Per fortuna no, non mi è mai capitato. Spero di essere stato abbastanza bravo da fare in modo che non si verificassero.

Quali altri cambiamenti ha notato negli studenti?

La tecnologia e la multimedialità sono una grande ricchezza ma, come sempre, c’è il rovescio della medaglia. Adesso i ragazzi necessitano di un riscontro immediato a ciò che studiano, perché grazie a Internet sono appunto abituati a vedere subito soddisfatte curiosità e aspettative. In questo modo si è un po’ perso un requisito che nella ricerca, compresa quella scientifica, è molto importante, ossia la capacità di astrarre. È più utile saper immaginare una molecola piuttosto che vederla su uno schermo. La tecnologia ha molto ridotto la fatica intellettuale e quindi ha generato pigrizia. Anche solo realizzare degli appunti per un compito in classe richiedeva uno sforzo mentale non piccolo, bisognava operare una sintesi: oggi, con il web, tutto ciò è scomparso.

Ha mai accusato momenti di stanchezza?

Solo stanchezza fisica, soprattutto nei dodici anni durante i quali ho svolto il ruolo di vicepreside. Non sono inve- ce mai entrato in crisi rispetto alla mia professione. E questo, lo ribadisco, lo devo a quell’impareggiabile stimolo che è costituito dai ragazzi.

A cosa ritiene fosse dovuta la sua popolarità tra gli studenti?

Mi auguro alla mia attitudine a immedesimarmi nell’alunno. Se c’è una cosa che ho sempre fatto è stata sforzarmi di capire i ragazzi, di comprendere le ragioni dei loro comporta- menti. Forse in questo mi ha aiutato la chimica, che è penetrazione nell’es- senza della materia.

Qual è l’insegnamento più importante che oggi si possa offrire a un giovane?

Non sentirsi onnipotente, così da evi- tare comportamenti irresponsabili, avendo però coscienza del proprio valore come persona. L’attuale diffusione dell’alcol tra i ragazzi rivela un desiderio di fuga, dovuto forse al non vedere chiaramente il proprio futuro, ma è anche il tentativo, sbagliato e conformistico, di colmare un profondo vuoto affettivo, probabilmente causato dalla disgregazione della famiglia.

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