L’INTERVISTA: “Valentina Parisse”

INTERVISTA A VALENTINA PARISSE

INTERVISTA - Valentina Parisse_Foto di Ilaria Magliocchetti a (1)

di Giuseppe Pollicelli

 Uno dei passaggi decisivi della tua vita, fino a questo momento, è stato il trasferimento da Roma al Canada. Quando lo hai deciso?

Subito dopo aver finito il liceo. Avevo una grande voglia di mettere la testa fuori, di conoscere ed esplorare. Senza paura. E infatti sono partita da sola.

 

Dove hai vissuto?

A Montréal, insieme a degli amici che già erano lì. In Canada, inoltre, abitano dei miei parenti. In tutto sono rimasta quattro anni.

Sei partita già con l’idea di fare musica?

Sì, quella è stata la molla principale. Peraltro sapevo che in Canada avrei ritrovato delle persone con cui avevo collaborato in Italia.

Quando ti sei resa conto del tuo legame speciale con la musica?

Già da piccola, facendo danza classica. Poi mi piaceva molto cantare assieme a mio padre, che è un grande appassionato di musica. Ad appena 14 anni ho iniziato a lavorare in uno studio di incisione e le mie giornate erano così scandite: la mattina a scuola, il pomeriggio in studio e la notte a studiare. Non a caso mi capitava spesso di entrare alla seconda ora…

A quando risalgono le tue prime performance dal vivo?

Ho cominciato a esibirmi intorno ai 15-16 anni. In giro per l’Italia, non solo a Roma.

Cosa cantavi?

All’inizio i brani che mi venivano proposti, interpretandoli però in base alla mia sensibilità, cucendomeli addosso. Per me è una grande fortuna avere compiuto presto quest’esperienza, perché considero il live uno dei maggiori stimoli a fare musica. Amo enormemente il rapporto con chi ti ascolta, lo scambio emozionale che avviene con il pubblico. Il bello del suonare dal vivo è che, per quanto tu possa avere programmato tutto (e io sono molto meticolosa), prima o poi qualcosa sfugge al tuo controllo. Ed è proprio quando non sei più in una condizione di controllo che si verifica la magia di cui sto parlando.

Specialmente oggi, con il tracollo dell’industria musicale, ci sono però anche ragioni economiche che suggeriscono di dedicarsi ai live.

Sì, certo. Ma il vero motivo, per me, è quello che ti ho detto.

Ci sono musicisti che consideri tuoi modelli?

Sono tanti gli artisti che adoro e a cui mi ispiro. In questo senso il Canada è stato fondamentale, perché ha una tradizione acustica importante, e infatti in cima alla mia lista personale metto proprio una canadese, Joni Mitchell, che considero una parte di me. Nella musica che faccio riverso la mia passione per la musica black e per generi come il rhythm and blues e il motown.

Il tuo primo album, “Vagabond”, è uscito nel 2011, poco dopo il tuo ritorno in Italia.

Sì, qualche tempo prima avevo pubblicato il singolo “Feel like runnin’”, che ha ricevuto un’accoglienza sorprendentemente positiva, aprendomi anche le porte di Paesi come il Brasile (dove è stato inserito in una classifica delle migliori cento canzoni degli ultimi anni), ed è stato grazie a questo brano che la Sony si è accorta di me, decidendo di produrrmi il disco d’esordio.

Una tua canzone, “Don’t Stop”, è stata a lungo utilizzata in uno spot di Eni Gas e Luce. A te, che sei un’artista indipendente, ha creato imbarazzi questo impiego a scopi commerciali?

Innanzi tutto bisogna dire che “Don’t Stop” non è propriamente un mio pezzo bensì una cover di uno storico brano dei Fleetwood Mac, gruppo rock inglese attivo dalla fine degli anni Sessanta. Aggiungo che ero stata preceduta, in questa esperienza, da colleghi che stimo come Raphael Gualazzi ed Erica Mou. Infine faccio questa considerazione: un artista giovane, soprattutto se indipendente, non ha in Italia nessun tipo di aiuto, le difficoltà a farsi notare sono enormi. Allora, se ti si apre una finestra, credo sia giusto concentrarti sul tipo di apporto che, in modo trasparente, puoi offrire a quel genere di situazione. Il messaggio veicolato dalla canzone è semplice ma significativo: non fermarti, credi in te stesso, vai avanti. Può andare bene anche che sia diffuso attraverso una pubblicità.

Il tuo nuovo album è in una fase avanzata di lavorazione. Si conosce già una data di uscita?

Ancora no. Non sono neanche in grado di dire, al momento, da chi verrà prodotto e distribuito. È prematuro. Posso però anticipare che è il frutto di un’intensa collaborazione con Phil Palmer, straordinario chitarrista jazz inglese. Il mio ultimo singolo, “Sarà bellissimo”, uscito lo scorso anno, è stato il primo esito della nostra collaborazione.

Quindi nel nuovo album, a differenza di “Vagabond”, ci saranno anche canzoni in italiano?

Soprattutto canzoni in italiano.

Solitamente, nel tuo processo creativo, arriva prima l’ispirazione musicale o quella verbale?

Di norma la prima cosa che mi viene in mente è la melodia. Però può succedere che, di fronte a un testo che mi colpisce particolarmente, accada l’inverso. È successo, per esempio, con una poesia del musicista brasiliano Franco Cava: mi è così piaciuta che ci ho costruito su una canzone.

Quando non ti dedichi alla musica cosa fai?

La musica rappresenta la quasi totalità della mia vita, il che comporta spesso sacrifici grossi, per esempio in occasioni di ricorrenze a cui vorresti prendere parte e alle quali sei costretto invece a rinunciare perché magari sei in tour in un’altra città. Al di fuori del mio lavoro, comunque, amo trascorrere il tempo insieme ai miei familiari, con cui ho un ottimo rapporto, e con gli amici. Poi ho un cane e un coniglio da accudire, e due strepitosi nipotini con cui giocare! E, quando posso, mi piace leggere un buon libro.

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