L’INTERVISTA: “Valerio Ferrara”

Valerio Ferrara: “Con Redroom ho trasformato il mio sogno in un lavoro”

 

Valerio, nel 2016 hai fondato una casa di produzione cinematografica indipendente chiamata Redroom. Cosa spinge un giovane di ventun anni ad avviare un progetto così ambizioso?

Sono un regista emergente e, al giorno d’oggi, riuscire ad affacciarsi all’ambiente cinematografico è più difficile rispetto al passato: bussare alla porta delle grandi case di produzione con un proprio cortometraggio non offre più molte chance. Per questo motivo, insieme ad altri studenti della facoltà di Cinema e Spettacolo, ho voluto avviare un progetto che ci consentisse di diventare i produttori di noi stessi. E Redroom, attualmente, non si dedica più solo alle produzioni strettamente legate all’ambiente cinematografico, ma anche a progetti attinenti alla sfera culturale e artistica.

 

Da cosa nasce il nome Redroom?

Avevamo molte idee in mente, ma Redroom ci ha convinti perché, oltre a essere orecchiabile, richiamava tantissime immagini. Può essere collegata alla camera oscura nella fotografia e il gioco di parole riporta alla memoria la famosa ”redrum” del film “Shining”. Il rosso, poi, rimanda a un colore legato alla sfera attoriale: dal rosso del sipario al red carpet.

 

Come studente di Cinema e Spettacolo che si avvicina al mondo del lavoro hai riscontrato delle difficoltà, da parte dell’università italiana, nell’assicurare un lavoro agli studenti al termine del percorso di studi?

Intraprendere questa strada richiede tanto coraggio ed è proprio questo che mi ha spinto – anzi, ci ha spinto – a metterci in gioco. Le università raramente forniscono i mezzi per entrare nel mondo del cinema, se non un master all’estero che non dà alcuna garanzia. Probabilmente quello che manca è la voglia di trovare soluzioni alternative. Nel nostro piccolo, con Redroom, abbiamo voluto dare una risposta concreta alle esigenze dei giovani e alla confusione tipica di chi approccia per la prima volta questo settore senza sapere ancora dove collocarsi. Non a caso, a far parte del nostro gruppo abbiamo preso alcuni studenti del primo anno del corso di studi di Cinema e Spettacolo, dando loro un’opportunità.

 

Qual è l’obiettivo a lungo termine della tua casa di produzione?

Riuscire a portare avanti quanti più progetti, che siano nostri o di altri giovani emergenti. Vogliamo dare spazio non solo alle creazioni cinematografiche ma anche al lavoro di fotografici e artisti. È per questo che ogni giorno ci impegniamo per raccogliere fondi ed è con questo obiettivo che abbiamo deciso di sperimentare una nuova tipologia di evento: una formula ideata per permetterci di guadagnare al fine di reinvestire tutto il denaro nel progetto stesso. Un modo per creare network e ampliarsi.

 

Cosa rappresenta per te il cinema?

È un mezzo di espressione e comunicazione, spesso funzionale e d’aiuto per la società. La settima arte, un’altra dimensione: insomma, pura magia. Il cinema mi permette di mettere in scena la mia visione delle cose, raccontandola con un linguaggio d’impatto. E ciò che mi ha sempre affascinato è che tutto ciò venga considerato un lavoro e, in quanto tale, sia retribuito. In sostanza, come professione realizzi il tuo sogno.

 

Finora quali progetti ha prodotto Redroom?

Moltissimi cortometraggi, in cui hanno recitato sia attori emergenti sia professionisti del settore. La nostra casa di produzione ha ormai una vasta rete di contatti, da operatori fonici a direttori artistici. Attualmente stiamo lavorando a un nuovo progetto dal titolo “L’Urlo” e siamo in cerca di finanziamenti per portare avanti la produzione. Faremo un evento di proiezione con l’obiettivo di mandare “L’Urlo” nei circuiti dei festival.

 

Quale sarà la tematica de “L’Urlo”?

È un cortometraggio che racconta la storia di un giovane avvocato che, al termine della sua giornata lavorativa, ritrova tra le scartoffie un vecchio disegno che fa riaffiorare in lui ricordi del passato. Parte, così, un flashback in cui si ripercorre la vita di questo personaggio, dalle giornate trascorse nell’atelier della sua prima fidanzata, Chiara, fino a quelle passate all’interno del mondo accademico. Inizia quindi un viaggio alla riscoperta del suo passato, dei suoi conflitti con la figura paterna, e riemergono vecchie scelte non fatte, giochi di silenzi, insicurezze mai risolte, ma soprattutto quell’amore per l’arte a cui non è mai stato in grado di dare libero sfogo. Il protagonista, infatti, rappresenta un personaggio passivo, incapace di pilotare la sua vita e schiavo degli eventi. In antitesi a questo, il titolo del progetto prende spunto dall’unico momento della storia, quello dell’urlo, in cui il giovane agisce attivamente.

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