Protagonisti: “Andrea Corbo “

Andrea Corbo: “si incomincia da trenta”

 

Imprenditore visionario ma anche pragmatico, sa mettersi in gioco, fermandosi prima di fare passi troppo lunghi. Il lavoro per lui dura 24 ore. Giorni di riposo? Nessuno. Ma non importa, perché è il lavoro suo, fatto delle sue idee, i suoi progetti. “A vent’anni avevo intenzione di fare… niente” – ci dice. È partito più avanti, a trenta. E non si arresta più.

Quarantacinque anni. “Non me ne sono neanche accorto…”.

Andrea Corbo nasce il 25 febbraio del 1973 all’ospedale S.Giacomo di Roma in una splendida mattina innevata. Servirebbe l’ufficio anagrafe, con il classico impiegato un pò ottuso: “Non insista: c’è scritto febbraio 1973; non mi faccia perdere tempo, non vede la fila dietro di lei?

Avevamo la quasi certezza che no, c’è uno sbaglio, il solito errore burocratico, uno schizzo d’inchiostro… Perché Andrea talvolta ci appare come un ragazzo di ventidue anni. Ha quella energia, quello sguardo che scava e che dice: “Sì, ho già capito tutto, sono già arrivato”. Arrivato prima, ovviamente.

Dai ventidue anni, in un istante, arriva ai quaranta: ascoltandolo ti accorgi di quanto ha fatto, quanto ha vissuto, su quanti “treni” è salito prendendo posto, in un baleno, sulla poltrona del macchinista.

Nessuno a Roma (e non solo a Roma) può dire di non conoscere la Buca di Ripetta, celeberrimo ristorante nell’omonima strada. Facciamo partire da qui la storia di Andrea; dando a lui la parola.

A vent’anni come vedevi il futuro? Insomma, cosa volevi fare “da grande”?

“A vent’anni facevo il ventenne. La mia intenzione, senza alcun dubbio era quella di non lavorare, quanto meno non subito. Lo dicevo ai miei genitori: “Presto inizierò a lavorare; ma non ora. E quando avrò trent’anni mi fermerò”. E loro, forse scherzando: “Va bene, come vuoi tu”.

Una volta partito, però non mi sono mi più fermato. Non ci riesco; non fa per me”.

 

Riassumiamo: fino al 2003 Andrea si mette alla prova in mille settori mostrando a tutti le sue doti principali: carisma, energia, simpatia e una fantasia capace di sfornare a ripetizione idee e soluzioni. Ma non vede accendersi quella scintilla, quella passione che – prima o poi – doveva arrivare.

Nel 2003 muore suo padre, Nadio. Andrea si ritrova capofamiglia; gli propongono di prendere in gestione un ristorante, pur non avendo mai fatto prima il ristoratore.

“Il ristorante lo presi quasi per gioco, rischiando, per i primi tre anni, di fallire ogni mese. Mi son messo a lavorare di brutto, restando nel locale giorno e notte; dormivo sulle panche pur di non lasciarlo. Avanti con le idee, i progetti, le innovazioni, l’avvio di un rapporto diverso con la clientela. Ristoratore e show-man; poi confidente, consigliere, amico, consulente… Un ristorante non è solo una “mangiatoia”. Deve diventare un salotto, un’avventura, un appuntamento, un luogo di cui parlare e da ricordare anche quando sei lontano. I clienti si affidavano, si affidano a me, la Buca cresce, si stringono convenzioni con Mediaset, con la Rai… Questo posto era già tappa obbligata per Vittorio Gassman e per i calciatori della Lazio che la domenica, senza nemmeno togliersi calzoncini e scarpini, si mettevano a tavola. Dopo qualche anno, nel 2010, qualcuno mi propose di rilevare un altro locale nella stessa via: Il Porto di Ripetta. Detto fatto. Oggi al “Porto” si naviga alla grande, sempre secondo il mio… stile”.

 

Già, lo “stile Corbo”: mai fermarsi al già visto, al già fatto, al già … mangiato.

“Un ristorante per me non deve essere semplicemente di livello: i piatti, il servizio devono essere al di sopra della media. Ma poi ci deve essere tutto il resto; il resto lo devi mettere tu, con la tua inventiva e la tua personalità. Il cliente lo deve vedere, questo resto. Deve leggere la carta, deve accorgersi che il maître parla sette lingue. Deve scoprire di trovarsi in una dimensione lontana da tutto ma con tutto alla portata di mano”.

 

Hai abbandonato gli studi da giovane, niente università. Suona un po’ strano, in un ambiente dove qualunque genitore pretende il figlio laureato… chi ha ragione?

“È giusto studiare, guadagnare più “punteggio” possibile; io ho scelto una strada diversa. È stato un rischio, ma l’avevo messo in conto: mi sono fidato delle mie doti. Ma, ripeto: avere qualche carta in più (leggasi: laurea, master ecc.) è indispensabile …”.

 

La storia va avanti con “Amelie”, la ludoteca di via del Vantaggio. Ma dire ludoteca è dire poco: Amelie, ancora una volta, è un mondo a parte, un nuovo modo di concepire e comunicare con bambini e adolescenti, facendoli crescere e divertire in un ambiente dinamico, creativo.

Come nasce Amelie?

“Dovevo aprire un terzo ristorante e mia moglie mi dice: “Non pensi ai bambini? In zona non c’è niente per loro! Perché non valuti l’idea di una ludoteca rivoluzionaria?”e così decisi di far nascere Amelie”.

Amelie diventa subito un posto speciale, d’eccellenza e viene menzionata da una azienda di giocattoli tedesca come la migliore per servizi in Europa. Sono passati tre anni ormai Amelie si prepara ad aprire le porte alla nuova rete di franchising.

Cambierà nome, con il franchising?

“Ci saranno novità”, risponde Andrea sorridendo.

Noi, visti i precedenti, ci crediamo.

Che consiglio dai ai giovani di Roma Nord, quelli insomma di “buona famiglia”? Sedersi all’Università per tenere lontano il futuro; e poi?

“La laurea è utile l’ho già detto; però datevi da fare, mettetevi in gioco. Siamo in un mondo dove tutti vogliono fare i dottori, i manager, gli amministratori delegati… A che serve incaponirsi con la medicina se ti impressiona il sangue? Bisogna avere coraggio; il coraggio di cambiare strada, seguire sé stessi”.

Dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna, si dice. Tu come la vedi?

“Grande uomo l’hai detto tu… Comunque Anna, mia moglie, è una gran donna senza alcun dubbio: colta, di classe, di una trasparenza disarmante. Io sempre col motore acceso e lei, viceversa, sempre calma, serena, riflessiva. Il successo che ha e avrà Amelie e il frutto della nostra unione.

“Superare le aspettative”. Questo è il tuo motto; vuoi spiegarlo?

“Semplice: un cliente, un interlocutore si aspetta qualcosa da te. Se vai oltre l’aspettativa, se lo sorprendi alimenti la tua crescita professionale; così ti mette in “archivio” ti segnala ad altri, si vanta di te. Superare le aspettative per vincere. Nota bene: basta una battuta d’arresto, un errore, una sbavatura e devi ricominciare daccapo”.

Veniamo alla crisi, la famigerata crisi che, si dice, non è ancora finita. Eppure ci sono tanti imprenditori che navigano col vento in poppa, tante aziende che vincono… Come interpreti la contraddizione?

“La globalizzazione ha provocato una fortissima selezione: se ti metti in gioco con un’attività solo perché hai sentito dire che “tira”, domani stesso fallisci. Se invece ti metti a lavorare sodo, con la testa e con il cuore 365 giorni all’anno, prima o poi la parola crisi non saprai nemmeno come si scrive. Avere idee, innovare, stupire, cambiare rotta. Questo si deve fare, questo io faccio da sempre”.

 

Lavorare sempre e circondarsi di collaboratori validi che devono stimarti e non temerti. È l’ennesima “dritta” di Andrea. Ora rimbocchiamoci le maniche, cominciamo.

A vent’anni o, se siamo bravi, anche a trenta.

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