SESSUOLOGO: Impariamo dagli eschimesi

Una prospettiva interculturale su sesso e relazioni

Immersi in un determinato contesto socioculturale, se ne assumono i modelli di pensiero e di comportamento come se appartenessero alla propria natura.  Ciò che non rientra in tale orizzonte è considerato fuori dalla norma.

a cura del Dott. Daniele Bonanno – Psicologo Sessuologo AISPS Roma

La cultura sessuale è particolarmente soggetta a questo fenomeno. Fino alla metà del secolo scorso non esisteva una vera scienza della sessualità. Saggi e trattati erano basati su convinzioni per lo più arbitrarie e ispirate a criteri morali. Nel ‘900 la psicoanalisi ha iniziato a porre l’attenzione sui fattori psicologici e soggettivi della sessualità. Le ricerche sessuologiche di Alfred Kinsey e successivamente di William Masters e Virginia Johnson hanno aperto la strada ad un’indagine scientifica sul sesso.

Antropologi come Claude Levi-Strauss, Bronislaw Malinoski e Margaret Mead hanno descritto il comportamento sessuale di popolazioni native, ancora “vergini” dalla nostra influenza. Analisi storiografiche come quelle di Michel Foucault hanno portato alla luce il modo di vivere il sesso in altre epoche storiche.

Grazie a questi seminali impulsi abbiamo oggi raggiunto un’apertura senza precedenti riguardo alla sessualità. Resta tuttavia un punto di osservazione inevitabilmente filtrato dalle lenti della nostra storia culturale.

I recenti progressi in tema di orientamento sessuale sarebbero difficilmente comprensibili da un viaggiatore del tempo che ci facesse visita dall’Antica Grecia. Allora non esistevano i concetti di etero, omo o bisessualità. Non si distingueva una persona per l’essere attratta da rappresentanti del proprio o dell’altro sesso. Il rapporto amoroso tra due uomini era normalmente previsto e valorizzato. Non è però tutto oro quel che luccica. Non si era altrettanto aperti alla sessualità tra donne e inoltre la discriminante riguardava i rispettivi ruoli nell’interazione sessuale. Tra due uomini la maggiore anzianità e prestigio sociale doveva necessariamente corrispondere a un ruolo attivo, mai passivo.

Anche in altre tradizioni, come quella islamica, non trova applicazione il concetto di orientamento sessuale inteso come caratteristica identitaria della persona. È spiritualmente ammessa l’attrazione tra due uomini ma è gravemente condannato il loro incontro sessuale. Anche qui a fare la differenza è la dinamica attivo-passivo, associata a un atto di sottomissione, considerato prerogativa del rapporto con il divino.

La cultura islamica si differenzia inoltre dal nostro modello monogamico ammettendo la poliginia, la possibilità per un uomo di avere più mogli. Questa pratica era in origine presente in altre religioni come l’Induismo e lo stesso Giudaismo. Ad esempio importanti personaggi biblici tra cui Abramo, Giacobbe e Davide avevano più mogli.

La dominanza della cultura patriarcale ha reso più rara la poliandria, la possibilità di una donna di avere più mariti. La troviamo ad esempio in Tibet e in alcune minoranze indiane. Anche se non previste a livello giuridico la poliandria e la poliginia sono di fatto comuni in chi pratica il poliamore.

I sostenitori della poligamia evidenziano le contraddizioni del modello monogamico nel suo associarsi spesso all’infedeltà coniugale. Possessività e gelosia sarebbero state difficili da comprendere per la comunità artica degli Inuit o i per i nativi della Polinesia Francese. Popolazioni geograficamente distanti tra loro ma accomunate da una grande libertà sessuale. Il sesso poteva essere inteso come gesto amichevole di ospitalità e condivisione. Un membro di queste comunità sarebbe stato sorpreso anche di fronte a quello che per noi è “il mestiere più antico del mondo”. La prostituzione era assente nella loro cultura, nessuno avrebbe avuto interesse a pagare per qualcosa di così condiviso e accessibile.

In entrambi i casi gli stereotipi di genere erano intesi in modo flessibile. Gli Inuit credevano nella reincarnazione e il nuovo nato veniva allevato in base al genere maschile o femminile dello spirito che incarnava, anche quando non corrispondente al sesso biologico. In Polinesia i “Mahu” erano a loro volta maschi allevati secondo canoni femminili. Si trattava generalmente del primogenito di ogni famiglia che poteva così riunire in sé qualità sia maschili sia femminili.

In questi brevi cenni storici e antropologici possiamo osservare come tematiche oggi emergenti e dibattute appartenevano già all’esperienza di civiltà vissute migliaia di anni fa e ad antiche tradizioni tribali. Fa in questo senso sorridere chi vorrebbe ridurre le tematiche lgbt o il poliamore a semplici “mode del momento”.

Non si tratta di sostituire un canone culturale con un altro o determinare quale soluzione sia più coerente con la nostra natura. Proprio le generalizzazioni e il riduttivismo rischiano di allontanarci da una vera comprensione della sessualità umana. La strada è quella di integrare ed arricchire un concetto di sessualità il più possibile comprensivo e rappresentativo delle molteplici soggettività, tra biologia, cultura e personalità.

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