CAPITANO MIO CAPITANO: “Prof.ssa Rita Barbieri”

Intervista a Rita Barbieri

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di Armando de Angelis

 

In questo quarto numero di “Be Different” intervistiamo la professoressa Rita Barbieri, insegnante di Inglese presso il liceo scientifico “Amedeo Avogadro” di Roma, la quale ci racconterà come riesce a conquistare l’attenzione di un’intera classe.

 

Sveglia mattutina, orari da rispettare, compiti a casa, debiti, esami di maturità. Visto così, lo studio assomiglia a una tortura. Eppure a ognuno di noi succede di imbattersi nel professore o nella professoressa che, comunicando il proprio sapere, riescono a rendere le loro lezioni un’esperienza memorabile. Sono gli insegnanti che tutti sperano di incontrare. Sono coloro che cercano di collegare la scuola alla vita, rendendo lo studio una cosa viva e stimolando gli allievi a coltivare i propri talenti.

 

Da quanto tempo svolge la professione di insegnante?

 

Ho cominciato nel 1983 e sono entrata in ruolo nel 1987. Attualmente insegno lingua inglese presso il liceo scientifico “Amedeo Avogadro” di Roma, dove sono arrivata dopo un’esperienza in un istituto tecnico commerciale.

 

Perché l’insegnamento?

 

Ha maturato presto la passione per le lingue straniere e dunque la scelta di insegnarne una è venuta in modo piuttosto naturale. Inoltre ho sempre avuto insegnanti molto carismatici e questo ha contribuito a farmi guardare con favore all’insegnamento. Mentre frequentavo l’università ho studiato per cinque anni alla Scuola Superiore per Interpreti e Traduttori di Roma, facendo inglese e tedesco. L’interpretariato mira soprattutto a uno sviluppo delle competenze linguistiche comunicative e prevede un approccio di tipo più tecnico, mentre lo studio universitario era incentrato in particolare sulla letteratura: di studio effettivo della lingua se ne faceva poco, tant’è vero che quasi tutti gli esami erano in italiano. Io ho scelto di unire le due esperienze. Dapprima ho lavorato come interprete, in seguito ho insegnato per un po’ in un liceo linguistico privato e infine, grazie al cosiddetto “concorsone”, che durò per un paio d’anni, sono approdata alla scuola pubblica.

 

Oggi nella scuola superiore lo studio della lingua straniera ha acquisito un’indubbia centralità.

 

Se facciamo il confronto con i miei tempi, quando al liceo classico l’inglese lo si faceva solo nei primi due anni, al ginnasio, le cose sono cambiate parecchio e in meglio. Tuttavia le lingue straniere, in Italia, vengono ancora studiate poco e male. Al liceo scientifico la recente riforma Gelmini ha tolto delle ore anziché aggiungerle. Se prima erano previste tre ore a settimana nelle classi prima, terza e quarta, e quattro ore settimanali in seconda e in quinta, ora ci sono tre ore in tutte quante le classi. Sono misure che vanno in una direzione contraria a quella di un supporto alla materia che insegno.

 

Lo studio scolastico è sufficiente per imparare bene una lingua?

 

Per quella che è la situazione attuale probabilmente no, difatti chi può completa la propria preparazione con corsi extrascolastici, soggiorni all’estero o periodi di studio fuori dall’Italia che vanno da alcuni mesi all’intero quarto anno di liceo. La riforma Gelmini ha introdotto classi che arrivano a trenta persone: nei primi due anni ogni classe deve avere almeno 28 o 29 alunni e nelle terze deve esserci addirittura una media di 27 studenti per classe, altrimenti si procede a degli accorpamenti. Perciò, ancora una volta, non si è pensato a valorizzare la qualità e si è privilegiato l’aspetto economico, puntando a risparmiare il più possibile. Così può succedere, per fare un esempio, che in una prima l’insegnante si debba misurare con due o tre diversi livelli di preparazione (si va dallo studente alle primissime armi a quello già padrone della lingua) e ciò genera una didattica schizofrenica, obbligando a svolgere delle attività differenziate.

Cosa ama di più del suo lavoro?

 

Senz’altro i ragazzi, sono la parte buona dell’umanità! Checché se ne dica, nella fascia di età che va dai 14 ai 18 anni ci si imbatte in tanta onestà e pulizia. I ragazzi sono la speranza nel futuro e rappresentano un materiale fantastico su cui lavorare. Chi crede che la professione dell’insegnante sia ripetitiva sbaglia di grosso: posso spiegare anche cinquanta volte lo stesso argomento, ma sarà comunque un’esperienza nuova perché davanti a me avrò sempre individui diversi.. Insomma, credo che quello della scuola, almeno teoricamente, potrebbe essere un ambiente di lavoro ottimale e straordinariamente stimolante. Naturalmente non sempre e ovunque regna uno spirito collaborativo e di condivisione.

 

Ritiene anche lei che, negli ultimi tempi, l’autorità del professore venga percepita sempre meno dai ragazzi?

 

Dipende dai contesti. Certamente esistono realtà molto complesse, soprattutto in certe periferie, ma se ci riferiamo a un ambito di media serenità (come gli ambienti nei quali, per mia fortuna, ho sempre operato), la situazione non mi risulta essere così problematica. Sia chiaro: se ti illudi di poter essere autoritario hai perso in partenza, ma i ragazzi sono i primi a riconoscere l’autorevolezza, quando c’è: sono degli ottimi giudici e, se te lo meriti, il loro rispetto riesci sicuramente a guadagnartelo. A essere cambiate, in confronto a quando io ho iniziato a insegnare, sono più che altro le modalità di apprendimento, una trasformazione a cui si sono adeguati anche i libri di testo, che da alcuni anni sono molto più legati alla fruizione interattiva e alla sfera dell’audiovisivo. Personalmente non mi sono mai trovata a confrontarmi con ragazzi che si comportano da bulli.

 

Cosa ama fare nel tempo libero?

 

Mi piace lo sport e quando posso mi dedico ad attività sportive di vario genere. Ho fatto nuoto agonistico e, attualmente, pratico soprattuto il pilates.

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