IL MIO SOGNO NEL CASSETTO: “Ludovico Fremont”

Ludovico Fremont: “L’attore è come uno strumento musicale”

 

La vita è come un concerto. A “dirigere” ci siamo noi, che dobbiamo anche suonare; suonare e “suonarcele” senza sosta incappando anche nelle stecche. Succede ai musicisti; succede anche agli attori.

Vale pure per Ludovico Fremont, 36 anni, attore, sceneggiatore e regista. “L’attore – ci conferma – è come uno strumento musicale da rifinire: qualche nota gli manca ma, suonando, il pentagramma si può completare…”.

Il pentagramma di Ludovico, in effetti, è poderoso. Dietro e davanti la cinepresa (o la telecamera) e con la penna tra le mani: Ludovico recita, dirige e scrive sceneggiature.

I suoi traguardi li conosciamo tutti; specie da quando (tra il 2006 e il 2010) ha interpretato Walter Masetti nella serie televisiva “I Cesaroni”. Ma in Tv lo si è visto anche in “L’affondamento del Laconia” di U. Janson, 2011), “La figlia del capitano” (Campiotti, 2012), in “Che Dio ci aiuti” (Vicario, 2013/14), “Un’altra vita” (C. TH Torrini, 2014)e tanti altri titoli che qui non citiamo per ragioni di spazio. Dal piccolo al grande schermo: “Natale a Rio”, “Scrivilo sui muri”, “Sei giorni sulla terra”, “Presto farà giorno”, “Drony”. Poi il Fremont regista: “The answer, la risposta sei tu” (2015)… Il teatro: “La centaura” (Ronconi, 2004), “Processo a Nerone (G. Ferrara, 2006), “Uomini senza donne” (Longoni, 2015), “La fabbrica dei bottoni di sughero” (2017), “A testa alta” (2018), “Per favore non uccidete Cenerentola (2019) e via recitando.

 

Come hai cominciato? Come e dove nasce questa tua passione per lo spettacolo?

“Il mio primo talent-scout è stato il caso: andavo a scuola al Nazareno dove frequentavo un corso di teatro. Un giorno venne un aiuto regista alla ricerca di volti nuovi; mi presentai al provino con atteggiamento distaccato, anche perché – al tempo – non avevo la minima idea di quel che volevo fare “da grande”. La regista se ne accorse, si incuriosì; mi chiese di raccontare una barzelletta e poi… poi la scrittura”.

Da quel momento, da quel giorno, Ludovico non ha saputo fare altro: “Senza il mio lavoro sto male” – ci dice.

Le prime esperienze, le particine e poi la consacrazione con “I Cesaroni”. Quanto è stata dura la gavetta?

“La gavetta è dura per tutti, ed è un bene. All’inizio non pensavo al successo. Cercavo apprezzamenti sul mio modo di essere; essere in qualche modo“diverso”, quasi apolide: ebreo, polacco, francese… Una diversità che si è trasformata in vantaggio, una marcia in più che ho sfruttato esigendo il massimo da me stesso. Ho avuto una vita complicata e ciò mi facilita per i ruoli “difficili”. Le esperienze negative ti rendono più combattivo, più positivo. Un esempio lampante è Bebe Vio, che ho conosciuto e che, di sicuro, ha molto da insegnare a tanti”.

C’è stato un momento nel quale stavi per gettare la spugna?

“Vorrei dire no ogni volta e ogni volta dico sì. Nulla è semplice, la selezione naturale vale anche per noi homo sapiens. I più deboli soccombono, i più forti vanno avanti. Forza non dei muscoli ma della “capa tosta”. Chi si impunta vince;è stato così per Rino Gattuso, per Bebe Vio e per molti altri”.

Come ci si “muove” nel tuo lavoro? E che consiglio vuoi dare a chi vuole cominciare?

Anche quando ti senti arrivato puoi cadere. Io praticavo il surf; prima regola: aspettare l’onda giusta evitando di salire su quella che non ti appartiene. Una volta salito l’onda la devi cavalcare: la tavola va veloce, devi aggrapparti a te stesso, non devi mollare.

A chi vuole provare dico: non fidatevi di quelle scuole che promettono tutto e subito. I “nomi” giusti sono pochi: la “Silvio d’Amico” a Roma è uno di questi. In ogni caso non demordere e, se proprio non si fanno passi avanti, guardarsi allo specchio: insistere o cambiare strada? Cambiare non è una sconfitta, è una presa di coscienza”.

 

Anche il dolore far crescere. È andata così al nonno di Ludovico fuggito dalla Polonia invasa dai nazisti, internato dai sovietici e fuggito in Italia (a piedi dalla Siberia) senza mai guardarsi indietro.

C’è un sogno nel cassetto di Ludovico?

“Continuare dignitosamente il mio lavoro, crescere al meglio mia figlia, scrivere e realizzare un film internazionale. Ci sto lavorando”.

La musica va avanti: il pentagramma, addì 2019, è ancora tutto da riempire.

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