ARTE E CULTURA: “Galliani”

“Galliani: in principio fu la cantina…”

 

 

Quando si dice “cominciare dal basso”. Ma Michelangelo Galliani, in cantina, invece del gomito alzò lo scalpello. Aveva 16 anni e – una notte – scese lì sotto per “Modellare una testa di argilla: frequentavo l’Istituto d’Arte già da un po’ e sentii l’esigenza di provare da solo…”. Com’è andata poi? Ce lo racconta lui stesso.

 

AUTORE

Di Riccardo Zona

 

Artista e figlio d’arte (il papà di Michelangelo si chiama Omar Galliani); ma l’arte si impara e non si eredita; diciamo che un po’ si “respira” in casa e questo può aiutare. Aiutare ma non troppo: talvolta può fare anche male, perché ci si sente ombra. Un’ombra a cui è concesso brillare ma non troppo; brillare di luce paterna, “Lui è il figlio di…”, “Hai visto? Quello l’ha fatto lui, sai chi è il padre? Ti ricordi quella mostra…”.

Quando il cognome ti può anche… schiacciare. Tutto questo non è successo a Michelangelo Galliani, scultore e non solo, che gli unici “pesi” che conosce sono quelli del marmo, della dura pietra ma anche di altri materiali meno usuali da scalpellare, da “rompere” per rompere gli schemi: piombo acciaio, ceramica, policarbonato… Le sue idee, le sue opere sono un perenne esperimento di fusione, di assemblaggio, di sfida alle convenzioni senza – per questo – rinnegare o sminuire i maestri del passato (e del presente). Non a caso lui si è anche diplomato restauratore alla scuola di Palazzo Spinelli (Firenze); come dire: l’arte si fa; ma per farla bisogna conoscerla da molto vicino.

Adesso, però, dobbiamo avvicinare l’artista; per chiedere direttamente a lui come si diventa Michelangelo Galliani. Quando e come è scoccata la sua “scintilla”?

“Più ci penso e più sono convinto che si accese, la scintilla, una notte di tanti anni fa; avevo 16 anni, frequentavo l’Istituto d’Arte ed avevo un professore di scultura molto bravo il quale mi convinse che questa mia passione poteva, doveva, diventare la mia strada. Una notte buia? Tutte le notti lo sono; oltretutto io scesi in cantina: più buio di così…!”.

Una notte buia in una cantina buia. Come andò?

“Andò che la pratica che facevo a scuola non mi bastava: volevo fare da solo, provare ad esprimermi pienamente senza nessuno che mi guidasse… Andò che, con l’argilla, realizzai una testa alata di Hypnos, personificazione del sonno; se vogliamo, il dio del sonno”.

Ma Michelangelo non dormiva affatto. La cantina era buia, la notte era buia ma di dormire non se ne parlò. Ergo, riapriamo gli occhi, la bocca e avanti con le domande.

Crescere come artista in Italia. Come si fa? Qual è stato il suo percorso? Ancora: come è nata la sinergia con la Contini Art UK?

“Il mio percorso inizia con modalità “classiche”: scuola d’arte, specializzazione in restauro a Palazzo Spinelli (Firenze), Accademia delle Belle Arti. Ciò è dovuto anche al fatto che l’arte la “respiravo” a casa, perché sono “figlio di…”. Già, figlio di Omar Galliani, pittore di fama internazionale. Ma l’ombra paterna, per me, non è stata mai un’ombra: non ho mai provato a rifugiarmici. Ovvio che l’ambiente in cui si nasce, si vive, influisce sulla formazione, sulle scelte. Ma prima o poi la tua strada la scegli da solo; devi accendere la luce e spegnere l’ombra.

Christian Contini l’ho conosciuto l’estate scorsa. Mi disse che i miei lavori lo interessavano, gli piacevano. Detto fatto…”.

Impegno, passione e… fortuna. Svolge un ruolo la fortuna?

“La fortuna aiuta, inutile negarlo. La vita è fatta anche di casualità. Succede di fare qualcosa con poco entusiasmo; succede che si vorrebbe smettere, si vorrebbe andar via sentendosi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Succede, poi, che in quel posto e in quel momento incontri qualcuno e… da cosa nasce cosa. In ogni caso, per raccogliere, bisogna seminare, seminare tanto; altrimenti la fortuna non ti vede nemmeno dato che, come si sa, è pure cieca…!”.

L’artista che lascia il segno; quello che entra nei libri d’arte e di storia. Ne nasce uno ogni cento anni, mese più o mese meno; possiamo dire che Michelangelo Galliani è il nome di questo secolo?

“Non poso dirlo ma posso sperarlo; e ce la metto tutta. C’è, tuttavia, da fare un doveroso distinguo: oggi, rispetto al passato, si sono moltiplicati i linguaggi, le tecniche e – soprattutto – è molto più facile far circolare il proprio nome con la Rete. Questo ha portato migliaia, milioni di persone a sbarcare nel “pianeta” arte, chi con competenza e chi no. C’è chi produce opere con il solo ausilio dell’informatica, alcune pregevolissime. Insomma, emergere è più difficile, la concorrenza è smisurata. C’è da dire anche che questa comunicazione così amplificata, così esasperata è in grado di lanciare sul mercato pure chi non lo merita. Beh, niente da recriminare, anche questo è il XXI secolo; io, comunque, credo ancora nel “mestiere”, quello delle mani, dell’artigianato. Del saper fare”.

Qual è l’aspetto del suo carattere che più l’ha aiutata nel suo percorso umano e artistico?

“La perseveranza, la determinazione. Ci vogliono per qualsiasi mestiere ma in questo settore sono fondamentali”.

Marmo, piombo, ceramica, policarbonato… Le sue sculture sono il frutto di un mix di materiali. Come nasce la sua inconfondibile tecnica della Fusione?

“I materiali vanno conosciuti “sul campo”; non si smette mai di imparare. Il marmo, per esempio, è stato il mio primo amore; amore che mi spinse ad abbandonare l’argilla. Lavorare e guardare: ai miei studenti dico sempre che bisogna guardare, osservare chi lavora. Gli altri materiali? Sono arrivati insieme alla curiosità; la mia”.

Un consiglio di Michelangelo Galliani ad uso e consumo dei giovanissimi che vogliano avvicinarsi a questo “mestiere”.

“Provarci sempre, non arrendersi, non demoralizzarsi mai. Se la passione è una passione “vera” bisogna crederci. È un settore difficile questo, che ha sofferto forse più di altri la recessione. Ma la passione va oltre il mercato e, prima o poi, nel mercato ci entra”.

 

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